Torino 33
Keeper significa letteralmente “la persona che tiene”, ma nel gioco del calcio è il portiere. Un titolo indovinato, volutamente ambiguo e polivalente per un film che ha molteplici sfaccettature pur nell’unitarietà del tema.
Tema che è il peso della responsabilità di diventare genitori a quindici anni.
Maxim e Mélanie sembrano i fidanzatini di Peynet e quando lei rimane incinta, dopo un iniziale momento di disorientamento, i due ragazzini decidono, insieme, di tenere il bambino. Avere un figlio è “figo”, dice un loro amico, e poi Max è una promessa del calcio, forse diventerà un grande portiere e sarà ricco e famoso, se solo riuscirà a farsi confermare nella squadra nella quale è stato convocato. I genitori (separati) di lui appoggiano la scelta; la madre (single) di lei la osteggia.
Ma diventare genitori non è come fare un videogioco, non è nemmeno una scommessa da giocare al luna park, la gravidanza non è divertente come pare, certe scelte non si devono prendere solo per contraddire una madre intransigente. I figli non basta metterli al mondo, bisogna anche essere in grado di allevarli: “Perché lo vuoi?” “Perché è mio figlio”. “Non basta”. Così, in sintesi, il dialogo tra Max e l’assistente sociale.
I due ragazzi si impegnano, ma crollano come genitori così come sfumano i loro sogni per il futuro. Interessante il ruolo del giovane Max, molto coinvolto, attento e premuroso, ce la mette tutta ma, come viene più volte sottolineato, la scelta è tutta della ragazza.
_ La vicenda, nella sostanza drammatica, ha il suo maggior pregio nello svolgimento, perché riesce a guardare con attenzione, delicatezza e sensibilità nella vita dei teenager di oggi, proprio così come sono, senza compiacimenti, né retorica, né forzature o prurigine, quasi un documentario. Soprattutto senza giudizi né pregiudizi.
Il giovane regista belga Guillaume Senez, con questo suo primo lungometraggio, ha vinto il 33° Torino Film Festival nel novembre 2015. Ottima la colonna sonora e magistralmente diretti i due giovani interpreti Galatea Bellugi (Mel) e in particolare il diciassettenne Kacey Mottet Klein (Max), vero enfant prodige del cinema svizzero.
Il film è intenso e tecnicamente ben condotto, con bellissime immagini. Il tema è certo interessante e ancora attuale, ma sarebbe stato assai più utile e efficace se fosse stato proposto qualche decennio fa ed è un vero peccato che oggi, in tempi di madri surrogate e di utero in affitto, il potenziale padre resti ancora relegato al ruolo del “portiere” ossia in posizione di assoluta impotenza: lui la partita non la può vincere. Casomai la potrebbe salvare, se solo gli si desse una possibilità. Così invece capita che chi perde sempre è chi non ha nessuna colpa se non quella di essere stato messo al mondo.