INTERVISTA A DIEGO OLIVARES

Esce nelle sale "I Cinghiali di Portici", primo lungometraggio del regista napoletano

In occasione dell’uscita di “I cinghiali di portici”, NonSoloCinema incontra Diego Olivares, ex avvocato civilista, ed ora nelle sale col suo primo lungometraggio che ha sceneggiato e diretto.

Innanzi tutto volevo chiederti come è avvenuto il passaggio dall’avvocatura al cinema e come mai hai avvertito il bisogno di raccontare questa storia…

Il passaggio in realtà è stato graduale, sono sempre stato un appassionato di cinema e ho pensato di iniziare a cimentarmi con dei cortometraggi, tutto questo dieci anni fa. Ho fatto lavoro di sceneggiatura e appena c’è stata la possibilità di guadagnarci qualcosa – scrivendo magari qualche puntata di fiction – mi sono potuto permettere di lasciare la professione d’avvocato che, fra l’altro, era appena agli inizi. Così dopo tre anni da praticante mi sono dedicato a quella che è la mia passione, iniziando a lavorare a questa sceneggiatura. La storia invece nasce da una vicenda personale e cioé dalla corrispondenza con un amico che ha vissuto in prima persona l’esperienza della comunità. Ma questo è solo il primo spunto narrativo, in realtà amo molto il cinema di genere, raccontare storie e rapportarle ogni volta al mio territorio, l’ho già fatto con i corti e spero di continuare a farlo.

Perché hai scelto il rugby come “pretesto” per raccontare le storie dei tuoi personaggi?

E’ stato un insieme di cose, ho cercato di mescolare un linguaggio di genere col cinema di marca anglosassone, ma a spingermi è stato anche il mio amore per il cinema sportivo, ai film che ho visto nel tempo, alla mia vita, alla comunità e ai suoi ragazzi. Il rugby è uno sport che simboleggia bene una serie di cose. Come sappiamo c’è una palla ovale che ha dei rimbalzi irregolari, irregolari come le vite di questi ragazzi, come il destino. Poi è uno sport in cui bisogna avere forza, e quando ci si scontra faccia a faccia, non si può più bluffare. Ci vuole fiato, polmoni, non si può giocare d’astuzia come nel calcio. Non nel senso fisico per lo meno.


Come è stato lavorare insieme ai ragazzi di una comunità di recupero?

Durante le riprese è successo di tutto, risse, furti. Ma la cosa più interessante è stato l’incontro fra i ragazzi che giravano il film (alcuni di loro si sentivano già dei grandi attori per aver fatto qualche fiction) e quelli della comunità, tossicodipendenti o semplicemente ragazzi ai margini…

E come rientra tutto questo nel tuo modo di intendere cinema?

Quello che mi piace è un cinema popolare, potremmo dire antiautoriale, un cinema che io chiamo di genere solo perché siamo abituati a classificare tutto. Ma in fondo faccio solo film e mi piacerebbe girarne tanti. E’ un cinema che cerca un pubblico indistinto, non necessariamente colto, ma che può essere comunque completo e arrivare emozionalmente a chiunque.

E il ruolo della critica?

Mi hanno sempre trattato molto bene, sono sempre stati molto generosi con me e di questo li ringrazio. Ma il problema vero è che quello che cerco di fare ha vita difficile, e la proposta di andare verso un cinema diverso che abbia una sua specificità rispetto ad un prodotto che è sempre più omologato e di marca televisiva non riscuote molto successo. Credo invece che anche un film senza grandi star abbia la possibilità di arrivare al pubblico e di arrivarci bene, se solo esistesse dall’altra parte qualche interesse a fare questo.

Infatti il tuo film esce nelle sale il sette luglio e in sole due copie…

Bisogna avere amore per le cose in cui si crede. Questo film per esempio lo hanno amato in tanti, sia produttori che distributori. Nessuno ha detto di non volerlo distribuire, ma poi saltava fuori inevitabilmente qualche richiesta o qualche impedimento che alla fine non portava a niente di concreto. E come si fa a protestare contro qualcuno che dice che il tuo film è carino, valido e poi non fa niente per promuoverlo? Il punto è che finché c’erano i soldi dello Stato per la distribuzione bene o male si poteva andare avanti, oggi quasi quasi conviene non fare più film!

Ma poi, per fortuna, i film si continuano a fare lo stesso…

Sì, ora sto scrivendo un dark fantasy sul mondo delle streghe ambientato in provincia di Benevento, il tutto con le difficoltà e le lentezze che puoi ben immaginare e di cui abbiamo parlato…