Molto conosciuto soprattutto fra gli estimatori degli anime, Ivo De Palma, doppiatore dall’esperienza ormai quasi trentennale, rilascia un intervista esclusiva a Nonsolocinema.com.
Fra i suoi doppiaggi più noti, ricordiamo Pegasus, ne I Cavalieri dello Zodiaco, Mirko in Kiss me Licia, Akira in Devilman, Jotaro Kujo in Le bizzarre avventure di Jojo, Toki in Ken il guerriero – La leggenda di Raoul, il dominatore del cielo.
Parlaci della tua voce: quando hai scoperto di avere questo dono; quanto e come hai lavorato su di essa?
L’ho scoperto ai microfoni delle radio private dei miei 17/18 anni, quando l’universo dell’etere libero era molto diverso da quello attuale. In modo particolare, l’ho scoperto dai microfoni di Radioflash (allora sui 97.7 mhz), a Torino. Poi ho studiato dizione per rendere meglio in radio e recitazione come ulteriore complemento. Ma lì è successo qualcosa. Il grande carisma del mio insegnante, ormai buonanima, cioè Ernesto Cortese, mi fece scoprire tutto un mondo espressivo che non conoscevo ancora e determinò la mia scelta professionale e di vita, basata comunque, principalmente, sul mio punto di forza, cioè la voce. Quanto ci ho lavorato? Sulla voce non si smette mai di lavorare. Quando sei giovane devi arricchirla, irrobustirla. Quando non sei più giovane devi mantenerla fresca il più possibile. E’ uno strumento che va sempre curato, insomma.
Che rapporto hai con il personaggio che ti ha dato la celebrità, ovvero Pegasus de I Cavalieri dello Zodiaco? Ti piace ancora essere associato a lui, oppure ti infastidisce oramai questo binomio?
Mi piace, certo. Se ogni tanto mi infastidisce è solo perché chi conosce principalmente quello non ha idea di svariate altre cose che ho fatto, di svariate altre mie corde interpretative. Pegasus è un personaggio cui sono molto grato perché è arrivato al momento giusto, 20 anni fa, ed è tornato al momento giusto, qualche anno fa (con la serie di Hades). Mi ha dato molto, indubbiamente, purché sia chiaro che molto ho dato anch’io, a mia volta, a lui.
Ne I Cavalieri dello Zodiaco l’interpretazione è solenne, carica di enfasi, spesso compaiono pure locuzioni poetizzanti, lontane dal linguaggio diretto dei comuni anime: scelta della direzione del doppiaggio per dare qualche vaga “reminiscenza omerica”?
Mah, direi che di strettamente “omerico” ci sia davvero poco, per lo meno in Pegasus. Le citazioni con cui impreziosimmo (per chi le gradisce) o rovinammo (per gli immancabili detrattori, per fortuna minoritari anche se molto chiassosi) l’interpretazione di alcuni momenti salienti della trama sono più che altro di autori italiani. Lo stile aulico fu una scelta del direttore e del dialoghista di allora, cioè Enrico Carabelli e Stefano Cerioni. Le citazioni di Pegasus, invece, sono spesso farina del mio sacco, previo accordo con il direttore, naturalmente.
Ti trovi meglio nei panni dei buoni, come Toki, o preferisci sbizzarrirti con gli oscuri propositi dei cattivi per eccellenza come in Devilman o Cagliostro?
I cattivi sono certo più interessanti e artisticamente (nonché talvolta tecnicamente) più difficili. Io ho cominciato con i “buoni che più buoni non si può” e ho poi proseguito la carriera affrontando sempre più spesso personaggi negativi, per l’appunto più complessi. Toki è stato il primo “buono” dopo molti anni di “cattivoni” e ho dovuto prendergli un po’ le misure per recuperare il maggior candore dei miei anni più verdi.
Quale, fra i doppiaggi da te svolti, indicheresti come opera perfetta: insomma il tuo capolavoro?
Per molti è comunque Pegasus, e non ho motivi particolari per oppormi!
Quali sono stati i tuoi mentori?
I miei insegnanti, per l’appunto, che ormai non ci sono più: Iginio Bonazzi per la dizione ed Ernesto Cortese per la recitazione. Per il resto, dice tutto la pagina Album del mio sito internet www.ivodepalma.it
Qual è stato il personaggio più impegnativo (quello per cui c’hai perso le notti per intenderci….)?
Si viene scelti in genere per personaggi che non ci facciano “perdere le notti”, ché altrimenti il risultato finale è difficile che possa essere eccelso. Diciamo che a inizio carriera è tutto più difficile, perché molte sono ancora le raffinatezze tecniche e lo spessore artistico da acquisire. Ricordo ancora come particolarmente faticoso un turno di 40 righe su un giovane avvocato che compariva in Sentieri, molto prima che mi venisse affidato il personaggio che tuttora ha la mia voce (Frank Cooper). Questo avvocatino, durante un dibattimento, faceva praticamente solo domande, che dovevo quindi variare un po’, per evitare di risultare monocorde. Roba che ora farei a occhi chiusi, ma che all’epoca mi fece sudare non poco.
Credi che lo status di doppiatore abbia degno riconoscimento in Italia?
Dipende. Dal punto di vista dei compensi la cosa è ovviamente discutibile a seconda della parte del tavolo cui uno si siede, quella padronale o quella dei rappresentanti di categoria. Considerate che tutt’ora non percepiamo alcun diritto sulle repliche (se non per le rarissime produzioni europee), altrimenti a quest’ora sarei milionario… Per quanto riguarda il grande pubblico, direi che chi ci apprezza lo fa con molta passione e riconoscenza, e questo è certamente confortante. Vi sono anche i detrattori, naturalmente, ma il doppiaggio in fondo è solo un servizio. Al giorno d’oggi se ne può anche prescindere seguendo un film in lingua originale (in tv o su dvd), per cui direi che la scelta di ognuno è garantita. Per quanto riguarda gli addetti ai lavori, il doppiatore non è apprezzato proprio da tutti, per il fatto di essere un attore che non sfrutta interamente il proprio corpo. Personalmente, però, considerando che al cinema (italiano) o in televisione, e non di rado anche in teatro, non sempre la qualifica di attore corrisponde a professionista che interamente la meriti, da qualche anno avverto un orgoglio particolare a qualificarmi come doppiatore, giacché è sicuramente sinonimo di attore fortemente specializzato, che certo non può prescindere (come invece certi “colleghi” in altri ambiti), da una rigorosa preparazione artistica e vocale, da una tecnica professionale ben precisa, dall’interazione con strumentazioni altamente sofisticate, dal perenne confronto con altri professionisti altrettanto preparati. Al giorno d’oggi, insomma, trovo la definizione “doppiatore” come altamente qualificante.
E’ maggiore lo sforzo creativo nel caratterizzare un personaggio anime, oppure, nel caso di un attore in carne ed ossa, seguire e rimanere fedeli al suo lavoro d’interpretazione?
Non potrei davvero aggiungere altro a quanto già compare sulla pagina del FAQ del mio corso di doppiaggio, sul sito www.ivodepalma.it
Che caratteristiche deve avere una voce per doppiare un anime differentemente da un film?
Molto spesso sembra che le categorie siano non-comunicanti, a parte casi come Tonino Accolla, e altri, che si dividono fra i due mondi. Intendo dire che di frequente si ha l’impressione che ci siano voci da cartoon e voci da film. E’ profondamente ingiusto e sbagliato stabilire questa distinzione. Noi doppiamo ciò che ci ritroviamo nella piazza in cui preferibilmente lavoriamo. Al nord abbiamo per anni fatto quasi soltanto cartoni animati non certo per nostra scelta. Dopodiché, ciò non ha impedito e non impedisce ai migliori di noi di essere spesso riconosciuti anche nei film di circuito, o comunque in svariati home-video, a fianco dei colleghi romani. Molti dei quali, peraltro, non sono colleghi romani, ma colleghi semplicemente trasferitisi a Roma. In The Hard Corps, film per la tv di due annetti fa, il solo Van Damme fu doppiato a Roma da Luca Ward, tutti gli altri personaggi a Milano. Compreso il rapper nero Terrell, cioè il cattivone del film, che doppiai io.
Qual è il profilo del doppiatore ideale? Che caratteristiche dovrebbe avere?
Grande tecnica. Grande cuore. Grande personalità. Perché più hai personalità, maggiore è il servizio che rendi, proprio in termini di personalità vocale e quindi di spessore psicologico, al personaggio.
(Sul doppiaggio live-action) A fronte delle polemiche dei puristi che vorrebbero film sottotitolati in lingua originale come negli altri paesi, qual è la tua posizione in merito alla questione? In molti casi non credi che il doppiaggio di un film sfalsi le intenzioni del suo creatore originale (regista/attore), e le connotazioni specifiche di ogni attore, oppure ritieni sia un valore aggiunto?
E’ una diatriba annosa, ed è inutile portarla avanti. Quanti di voi, che magari criticano il doppiaggio, hanno letto Proust in francese, Hegel in tedesco, Dostoevskij in russo, Borges in spagnolo? La traduzione è un servizio, ha i suoi pro e i suoi contro. Il doppiaggio è la traduzione di un audiovisivo. Anch’esso è un servizio. Ha i suoi pro e i suoi contro. E’ un compromesso, di cui comunque vi sarà sempre bisogno anche quando avremo (chissà quando) le prime visioni al cinema in lingua originale. Perché? Ma perché al cinema un film sta due/tre settimane, se va bene. In televisione sta 40/50 anni… E una versione televisiva doppiata dovrà sempre e comunque esserci.
Hai già trovato un erede artistico?
Dovreste trovarlo voi, e davvero nessuno finora si è pronunciato in tal senso. Quindi penso che ancora non esista. In ogni caso, è ovvio che un giovane ha ben altri capiscuola cui ispirarsi. E in ultimo, salute permettendo, non ho comunque ancora intenzione di ritirarmi.
Progetti futuri all’orizzonte…
Scaramanzia consiglia di non parlarne…