“LA FABBRICA DEI PRETI” DI GIULIANA MUSSO

Convince lo spettacolo presentato al Teatro Cà Foscari di Venezia

Dopo aver svolto la sua personale “trilogia della vita” con Nati in casa, Sexmachine e Tanti saluti, Giuliana Musso porta in scena la testimonianza de “La fabriche dai predis”, il libro in cui il sacerdote friulano don Antonio Bellina ricorda gli anni della propria giovinezza trascorsi nei seminari del Nordest d’Italia.

La fabbrica dei preti racconta le vicende di quella generazione di preti che si formarono nei seminari a cavallo tra gli anni Cinquanta e Sessanta e che oggi, alle soglie della pensione, si trovano a fare i conti con la propria scelta di vita. Il titolo scelto per quest’opera potrebbe però trarre in inganno: lo spettacolo ha infatti un respiro ben più ampio del semplice lavoro di ricostruzione storica di un fenomeno che pure ha tanto influenzato la società italiana, si tratta piuttosto di un viaggio nelle zone d’ombra della “distruttività umana”, come la stessa autrice l’ha definita.

“Entriamo assieme nella grande fabbrica silenziosa. Prima, però togliamo il cappello e fermiamoci un attimo a pregare per tanta manovalanza sacrificata e rovinata in tutti questi anni e secoli. E, facendo uno sforzo, spendiamo un requie anche per le maestranze. Forse anche loro vittime di un sistema che uccideva l’uomo illudendosi di onorare quel Dio che l’aveva creato a sua immagine e somiglianza.” Queste parole, all’inizio dello spettacolo, chiariscono fin da subito che La fabbrica dei preti, il seminario, è un luogo freddo e impersonale, pensato per formare una classe dirigente ordinata e obbediente. Un sistema di educazione oppressivo e spersonalizzante, perfezionato nel corso dei secoli a partire dalla Controriforma, che produsse una generazione di preti afflitti da una profonda dissociazione affettiva e in costante conflitto con le proprie nevrosi, del tutto privi degli strumenti per comprendere il mondo nel quale poi sarebbero stati gettati. La narrazione di Giuliana Musso – accompagnata da foto d’epoca e da intermezzi musicali sorprendentemente efficaci – alterna la lettura e il commento del testo di don Bellina alla recitazione nel ruolo di alcuni anziani preti interrogati sulla propria esistenza e sugli anni del seminario. La crudezza dei fatti narrati e la passione con cui i sacerdoti portati in scena parlano di se stessi danno l’impressione di assistere quasi furtivamente a una sorta intervista-confessione collettiva di un’intera generazione.

Giuliana Musso dà qui prova di notevole capacità espressiva e sensibilità, riuscendo a equilibrare i passaggi più duri dello spettacolo con digressioni di maggior leggerezza e momenti di dialogo con il pubblico, in cui emergono le sue passate esperienze nell’improvvisazione teatrale. Per certi aspetti lo spettacolo potrebbe far pensare a La messa è finita di N. Moretti; nel caso de La fabbrica dei preti si va però al di là dell’introspezione psicologica dei giovani seminaristi: attraverso lo sguardo dei preti portati in scena, emerge infatti una forte rappresentazione della società italiana e dei suoi mutamenti, sia nei rapporti sociali e famigliari che nel ruolo fondamentale delle donne. La fabbrica dei preti dimostra così di essere un’ottima prova di teatro civile, ed è forse questa la sua principale qualità: coinvolge lo spettatore con le vicende personali dei suoi protagonisti – alcuni tratteggiati con ritratti di particolare efficacia – e costringe il pubblico a interrogarsi su una questione rimossa dal dibattito attuale.

Di e con Giuliana Musso
_ Assistenza e ricerche fotografiche di Tiziana De Mario
_ Responsabile tecnico Claudio Parrino
_ Collaborazione allestimento di Massimo Somaglino
_ Realizzazione video a cura di Giovanni Panozzo e di Gigi Zilli
_ Elementi di scena a cura di Francesca Laurino
_ Ricerche bibliografiche di Francesca Del Mestre
_ Consulenza musicale di Riccardo Tordoni