La Lega cavalca “Barbarossa”, tra buget milionario e stile televisivo

Martinelli a spada tratta per il suo kolossal alla "Braveheart". Degan: "Fuori e dentro il set ero sempre Alberto"

Alla conferenza stampa di autocelebrazione del film erano presenti il regista e Raz Degan. Rutger Hauer era impegnato con altri progetti. Mentre Cecil Cassel, che nel film interpreta – maestosamente bene – Beatrice di Borgogna, moglie di Federico I, si è dissociata dal film quando ha saputo il background politico che lo aveva messo in moto. Questo perché l’attrice francese, in Patria, è la paladina degli immigrati clandestini mandati a casa dal governo Sarkozy. A riguardo Martinelli ha detto: “La ragazza vive un complesso di inferiorità nei confronti del fratello Vincent. Ha messo in moto tutto questo clamore, con il suo ufficio stampa, per avere un risconto mediatico. Quando è arrivata sul set, sapeva bene che si sarebbe girato Biancaneve e i sette nani.”

Quanto l’immaginario storico ha fatto il suo gioco in questo film?

Martinelli: “E’ un secolo buio. Quando un personaggio entra nel mito si crea una metastoria. È successo che un gruppo di giovani si sono uniti per combattere… Ma anche per Wallace (Braveheart) con Mel Gibson si sono presi le loro libertà. Certo se avessi fatto un film su Mussolini averi usato più cautela storica, ma i riferimenti ci sono e tanti. Io ho spesso ricevuto minacce per i miei film. Con Vajont ho fatto una fatica immensa. Su Moro (Piazza delle Cinque Lune) mi hanno devastato, eppure non c’è stata nessuna querela e abbiamo fatto nomi, cognomi e indirizzi. Io cerco la coerenza. Se poi il mio prodotto viene strumentalizzato, la mia coscienza è a posto. I Francesi hanno una storia compatta. Noi, qui in Italia, non abbiamo una storia condivisa. Il Rinascimento ci è stato imposto dagli Inglesi. Noi abbiamo avuto due Resistenze. Se credo in un progetto io lo realizzo. Io faccio solo film in cui credo. Licio Gelli mi tallona da anni perché realizzi un film su di lui, ma non lo farò mai, perché non è un progetto che mi convince. Io ho un compito maieutico, voglio dare motivi di riflessione. Cerco di tirare fuori alcune cose.”

Raz, sei soddisfatto del tuo ruolo o pensi che avresti potuto mettere qualcosa in più o di diverso?

Degan: “Quando ho letto il copione, mi è subito piaciuto questo progetto per il ruolo nuovo che mi veniva proposto. È difficile per un attore vedere il film. Perché senti quello che fai, ma non ti vedi. Mentre attraverso la macchina da presa, il regista vede. Non sai come vieni ripreso e come sarà montato. Non c’è una continuità. Durante il film ho sentito quello che stavo facendo, ero sempre Alberto. Raz era da parte. Mi sono preparato per mesi prima del ciak. Mi sono ritirato in campagna, cercando di utilizzare gli elementi base: acqua, terra, fuoco, e utilizzandoli in modo primordiale. Sono stato a contatto diretto con la natura per riuscire a immedesimarmi con Alberto, per trovare la sua fisicità. Per il suo bisogno di libertà ho usato quello che mi stimola, perché la libertà è universale, è la base, è il principio della vita. E una volta trovato il ritmo interno, ho cercato quello esterno, mettendo su anche un po’ di chili. I primi tempi delle riprese andavo anche a dormire con la spada nel letto. Lo vedevo con grande sensibilità e volevo portare questa sensibilità fino in fondo, per far trasparire questa trasformazione, i suoi cambiamenti mentre cresce, ho lavorato molto anche sulla mia voce.” (Ma essendo il film girato in inglese, il pubblico italiano sentirà Degan doppiato dall’eccellente, come sempre, Adriano Giannini; ndr).

Martinelli: “Quando mi hanno proposto Raz per il ruolo di Alberto, ero titubante, anzi dubbioso, scettico. Poi ho scoperto la sua grande umiltà nel lavoro. E abbiamo realizzato un lavoro di coppia straordinario. Gli attori sono animali strani. Il regista deve capire l’attore. Anche perché il mestiere del regista è dirigere l’attore. Io possiedo quattro macchine da presa e 140 obiettivi, questo mi consente una visione che altri registi non hanno. Nel modo in cui giro io il film, l’attore sente il mio fiato sul collo, c’è immediatezza, non ci sono monitor di mezzo. Resta l’adrenalina e l’attore questo lo percepisce. Il fatto di essere addosso all’attore permette un filmback immediato.”

Qual è il rapporto tra uno storico e un cineasta?

Martinelli: “C’è un dissidio insanabile. Lo storico racconta i fatti così come sono stati. Il cineasta lo fa con drammaturgia. Il mio dovere è ricreare lo spirito del tempo. Io non devo spiegare la storia. Wallace non ha mai avuto una moglie sgozzata, ma nessuno della produzione di Braveheart si è mai posto il problema. Non scrivo falsità storiche, ma adatto i fatti per creare emozioni, come nel caso di Eleonora (moglie filmica di Alberto da Giussano), abbiamo dato vita a un personaggio complesso, conferendole una sottostoria interessante, le abbiamo dato drammaturgia.

Come vivete tutto questo fiume di polemiche politiche che il film porta con sé?

Degan: “Ho preso in mano il copione un anno e mezzo fa. Una storia che non ha ideologie politiche. Parla di una persona, Alberto, che mi ha dato stimolo. Un personaggio complesso, difficile. Ho dedicato il mio tempo, la mia anima a questo personaggio. Il prodotto finale che viene strumentalizzato, nella distribuzione, non mi interessa, non mi riguarda. Tutti hanno le loro opinioni anche senza vedere il film, questo mi fa ridere. Il lavoro che mi è stato chiesto di fare è stato una sfida, con un set stimolante. Ho dato tanto a questo film. Mi dispiace che il lavoro che tutti noi abbiamo fatto venga dopo le polemiche. Ora parleranno di altro, ma non del nostro lavoro. Mi dispiace.”

Martinelli: “Tutto ciò che succede dopo il mio lavoro finito non mi riguarda. Io, come cineasta, penso al film nella sua totalità, dalle luci all’evento, dal montaggio al manifesto. Le polemiche che ci sono dopo non mi interessano. So che la Lega ha già venduto duecentomila euro di biglietti per questo film. Che avrei dovuto fare o dire, non fatelo?. Hanno fatto un lavoro sul film capillare, che porta la gente in sala. Io del resto faccio i film per il pubblico non per i critici. Non ho mai parlato con Bossi della sceneggiatura.

L’arte al servizio del potere rimane arte?

Martinelli: “Non sono mai stato al servizio del potere. Non ho avuto nessuna ingerenza. Ho molti amici che sono politici, e al Governo, da Bossi a Berlusconi. Ma per la serata della prima mondiale del mio film ho invitato anche Veltroni, D’Alema… ma non sono venuti.”

Com’è il suo rapporto con i critici? Come mai non ha proposto Barbarossa per La Mostra del Cinema di Venezia?

Martinelli: “Con i critici è un rapporto bacato. Pochi fanno il loro lavoro in modo deontologico. Ci deve essere un rapporto corretto tra cineasti e critici. Non ho presentato il film a Venezia, perché non eravamo pronti. E poi io sono contrario ai festival. Il mio modo di girare è lontano da quello che i critici si aspettano, soprattutto nei festival.”

Quali sono ora i vostri progetti?

Degan: “Sto scrivendo una storia, una sceneggiatura, ambientata negli anni ’70. Parla di un gruppo di italiani che partono per l’India a scoprire la Luce, la Verità. I miei progetti ora sono più interiori, soprattutto in un’epoca come questa che sta cambiando e quindi artisticamente cerco una corrispondenza con il mio interiore. Non voglio tempi morti. Siamo vittime di noi stessi. È arrivata l’era della consapevolezza. Ora torno in India.”

Martinelli: “Ho intenzione di realizzare un film su un’importante figura storica, purtroppo poco conosciuta, Padre Marco D’Aviano, e sull’altro 11 settembre, quello del 1683. Il film, appunto, parlerà dell’assedio turco a Vienna nel 1683 e della resistenza che il frate francescano organizzò, coalizzando un gruppo di principi cristiani che sconfissero gli invasori in una storica battaglia. Racconterò l’eterna lotta dell’Islam contro l’Occidente”.

Ma torniamo a Barbarossa mega produzione, realisticamente evocativa dal punto di vista storico, con costumi e musiche ben ricercati, e un’interpretazione fatta di immedesimazione e sentimento; una produzione realizzata interamente in Romania perché, come ha ribadito più volte il regista: “Realizzare un progetto di queste proporzioni in Italia sarebbe stato impossibile con un budget da 30 milioni di dollari. Del resto anche Francis Ford Coppola o Brian De Palma quando hanno capitali ridotti girano all’estero, in mercati concorrenziali. È inevitabile fare queste scelte. Io mi sono servito di manodopera del posto, dove tutto è stato ricostruito mattone su mattone, anche se non ci sono mattoni.” Infatti le scenografie sono di polistirolo, e si vede, come si vede che manca quel prezioso tocco, nel perfezionamento dei dettagli, della professionalità di mani esperte.

Foto a cura di Ilaria Falcone Copyright © NonSoloCinema.com – Ilaria Falcone