“Creare Tutto quello che rimane è stata una gioia”.
Partiamo da qui, dalla frase conclusiva delle note di regia, per dare subito la giusta prospettiva da cui guardare questo spettacolo – reportage che Tam Teatromusica dedica ai suoi vent’anni di Teatrocarcere.
Al Porto Astra di Padova, che ha ospitato il secondo appuntamento della rassegna “Contrappunti – Senza fissa dimora”, cartellone nomade a causa del terremoto dello scorso maggio che ha reso il Teatro alle Maddalene temporaneamente inagibile, è andato in scena un collage di scene, ricordi, testimonianze, azioni performative, scritture digitali con la luce, e soprattutto riprese video.
E la gioia provata durante la creazione è trasparsa. Tutto quello che rimane è soprattutto la sensazione di aver materializzato del bene. Senza moralismi, piuttosto con la consapevolezza di aver trattenuto il buono di questa esperienza – che appunto, dura ormai da vent’anni all’interno del carcere Due Palazzi di Padova e coinvolge gli attori del Tam insieme agli attori detenuti dell’istituto-, per raccontarla oggi agli spettatori.
È un bene, un buono, di carattere fluido: non è il Tam che semplicemente sollecita alla positività persone evidentemente circondate da stimoli negativi; piuttosto è un bene che nasce dallo scambio tra chi sta dentro e chi sta fuori, da quell’incontro sempre gravido, soprattutto per gli artisti – e sembra quasi una frase fatta, ma è vera, sempre – con il diverso da sé, in tutte le sue forme. E in più, come scrive Pierangela Allegri, “sentire un corpo che trema se lo sfiori, ci ha rimessi in contatto con i bisogni primari e essenziali, come amare ed essere amati. In questo ci siamo ritrovati uguali, tutti”.
È stato emozionante rivivere le scene del lavoro in carcere: dalle prove, dai momenti di laboratorio, fino alle messe in scena. Otello che grida la sua gelosia e la sua rabbia attraverso l’inquadratura ravvicinatissima del volto di un detenuto trova un’autenticità che si fatica a distinguere dalla finzione. Il vento tra gli alberi riprodotto da un gruppo di abitanti del carcere che muovono dei rami veri e le loro poche foglie secche ancora rimaste produce una nostalgia amplificata: non solo quella delle sere d’autunno, ma soprattutto quella di chi il vento lo osserva da prigioniero, senza potervisi immergere. Il racconto di un detenuto che, al semaforo rosso, scappa dalla macchina che dalle prove lo sta riportando in carcere, rigenera dal vivo la paura, il non sapere cosa fare, l’abbattimento, il timore delle decisioni delle autorità carcerarie, il buio di tanti anni prima, facendoli rivivere in condivisione con il pubblico.
È stato emozionante perché è trasparsa l’emozione di chi ha prima creato l’esperienza, e poi creato questo momento di condivisione: Michele Sambin, che ha ideato e diretto Tutto quello che rimane e relizzato live le sue scritture di luce; Pierangela Allegro, in scena insieme agli altri interpreti, e dal cui omonimo scritto del 1995 sono stati tratti i testi dello spettacolo. E poi Loris Contarini, Claudia Fabris e Alessandro Martinello che hanno letto, interpretato, riportato, fatto rivivere sul palcoscenico quanto raccontavano i video, in un dialogo delicato, in punta di piedi.
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Fotografie di Tommaso Saccarola