Berlinale 61. Concorso
Un film interessante e tragico sull’Albania di oggi, un Paese pericolosamente in bilico tra il passato arcaico e il contrasto della modernità che irrompe.
La vita di una famiglia in un villaggio di campagna scorre regolare, pur con i contrasti quotidiani: mentre il padre distribuisce ogni mattina prima dell’alba il pane con il suo carro a cavallo e la madre sta in casa, i figli Nik, diciassette anni, inizia a corteggiare le compagne di scuola chiamandole con il suo cellulare, Rudina, quattordici anni, aspira ad andare un giorno all’Università e i due fratelli più piccoli sembrano bene intenzionati a seguire le tracce dei maggiori. Una apparenza tranquilla, ma con un crescendo di tensione che preannuncia il dramma. Un giorno, infatti, il padre e lo zio si scontrano con un vicino per un contrasto, da tempo latente, sulla divisione di un terreno e il vicino resta ucciso.
Arriva la polizia, ma al di fuori e al di sopra della legge vige il kanun, il canone, un arcaico codice rurale che, con le sue regole medievali e assurde impone ai figli maschi del presunto colpevole di non uscire più di casa, pena la morte. Niente più scuola né ragazze per Nik, che soffre per questa claustrofobica situazione, e ancora di più perché è ora la sorella a proseguire il lavoro del padre e lo fa bene, più del genitore. Rudina è sveglia e riesce ad aggiungere alla vendita del pane anche quella delle sigarette. E farebbe anche di più, se non venisse fermata dalle minacce del vicino, che per intimidirla dà fuco alla stalla. Una minaccia di morte vera e propria a tutta la famiglia.
Nik non ne può più della segregazione senza fine e vede il padre inerte. Con il coraggio della disperazione va lui stesso dei vicini nemici, invece che mandare i “negoziatori” previsti dal kanun.
Spera di ottenere una riconciliazione, se non il perdono. Ma ottiene solo un risultato per sé stesso: è libero, ma se ne deve andare, da solo. Il giorno dopo Nik lascia, forse per sempre, la sua casa, la sua famiglia, il suo villaggio.
Il film si chiude con un intenso primo piano sulla bella Rudina, che non pensa solo a se stessa, come il fratello, ma rimane a casa quasi a far capire che il futuro e la speranza della sua famiglia è e resta affidato a lei.
Nik se ne va ma la fine della storia resta tuttavia aperta e, come dice il titolo, il perdono, se perdono c’è, è solo nel sangue e non nella riconciliazione. “Non ci sono soluzioni facili – spiega il quarantenne regista californiano Joshua Marston – ho voluto mostrare questa fine aperta per sollecitare il pubblico a riflettere”.
Una co-produzione italiana, per questo film da vedere, che fa conoscere e capire, ma anche riflettere e sperare nel futuro. Una speranza che sta soprattutto nelle mani delle donne e delle ragazze. Sono quelle come Rudina – giovani intelligenti e intraprendenti – che sanno reagire meglio e con più energia, che lavorano molto e con slancio e idee nuove, e che soprattutto rifiutano con decisione il comportamento degli uomini. “Litigate per qualunque sciocchezza .- dice la ragazza di Nik – siete peggio dei bambini!”.
Valida recitazione dei giovani attori e grande approvazione da parte del pubblico per la pellicola di Marston, regista di grande impegno sociale e politico, che alla Berlinale del 2004 ottenne il premio Alfred Bauer con il suo primo lungometraggio, “Maria piena di grazia”, altro film di grande spessore.
Un film di Joshua Marston.
Con Tristan Halilaj, Sindi Laçej, Refet Abazi, Ilire Vinca, Çelaj.Drammatico, durata 109 min. – USA 2011.