Simon, eccellente violinista, accetta un lavoro da insegnante di musica in una scuola delle banlieue parigine per sbarcare il lunario. Inizialmente scoraggiato dallo scarso interesse e dalla maleducazione degli allievi, Simon a poco a poco si appassiona al suo lavoro e ne capisce l’importanza, grazie anche al talento dimostrato da uno degli allievi, Arnold.

Se la trama vi sembra già sentita, non vi sbagliate: è la stessa di molti film che si focalizzano sull’educazione e l’apprendimento come mezzo per il riscatto sociale. Da Sister Act 2 a Io speriamo che me la cavo, passando per Coach Carter, il tema è stato trattato da numerose pellicole, quasi sempre con buoni risultati. La mélodie non fa eccezione: nonostante la scarsa originalità, infatti, il film funziona e appassiona, grazie a una sceneggiatura asciutta e ben congegnata e alle ottime prove del multietnico cast infantile, ben diretto da Hami. È difficile non simpatizzare per questi ragazzi, così diversi eppure così simili, uniti in un destino che li condanna ai margini della società francese. La musica è la loro occasione di riscatto, uno strumento grazie a cui impareranno a valorizzarsi sia come individui che, soprattutto, come gruppo.

La musica diventa quindi non solo strumento di inclusione sociale, ma anche di dialogo, riuscendo a sanare liti e ripicche e a far lavorare tutti i ragazzi verso un unico obiettivo, quel concerto con la Filarmonica che sembra un miraggio irraggiungibile. Sullo sfondo si sviluppa la parabola personale di Simon, per cui il divertimento è il primo segreto del successo di un musicista: grazie alla sua classe di indisciplinati si renderà conto che non si divertiva da tanto, troppo tempo, e che aveva lasciato la vita scivolare via, senza metterci la passione e l’impegno che richiedeva.

Hami racconta una storia di integrazione e di maturazione semplice ma efficace, capace di coinvolgere senza indulgere in momenti retorici o pietistici. A volte la semplicità, quando il messaggio è forte e chiaro, paga.