“Non ho mai capito se appartengo a Venezia o no. È come se nella vita l’avessi continuamente sfiorata. In realtà non ho voluto capirla. Mi ci sono sempre perso. Mio padre è cresciuto a Venezia”.

È il regista Andrea Segre a parlare, a scrivere con la sua voce narrante questo viaggio a Venezia con una doppia destinazione o ricerca: il cammino di suo padre, Ulderico, uomo che con suo figlio ha comunicato poco; la fragilità di una Città che si trova sospesa nel vuoto e riscopre sé stessa durante il lockdown.
A febbraio 2020, Andrea Segre si trovava nei luoghi dove il padre era nato e aveva vissuto “Come il virus che ha bloccato il mondo nell’inverno 2020 e che d’improvviso, mentre stavo girando per un altro progetto, mi ha consegnato ad una Venezia solitaria e magica, dove senza accorgermene ho potuto ricontrare mio padre e capire cosa questa sua città fragile e potente può insegnare”.

La scoperta del padre e la scoperta della Città sono due storie parallele.
Quello che era nato come lo studio di due progetti di teatro e cinema sulle grandi ferite di Venezia (turismo e acqua alta), diventa dialogo con il passato e indagine sul futuro.
Il montaggio espressivo ed equilibrato di Chiara Russo (che alterna le riprese del regista con i filmati privati del padre allora sedicenne, in super8, venuti fuori dopo la sua morte), la fotografia di Matteo Calore e Andrea Segre, le musiche di Teho Teardo, conducono lo spettatore “alla ricerca di una presenza nell’assenza”.

Ulderico Segre (classe 1946) era uno scienziato, un fisico-chimico; studiava i movimenti delle molecole, piccoli invisibili elementi naturali che non vediamo, ma che determinano l’evoluzione del mondo. Il suo lavoro si concentrava sui radicali liberi, molecole con elettroni solitari alla ricerca di altri elettroni.

Chiacchiere con chi la città la vive tutto l’anno – un pescatore, una giovane donna che vive al piano terra, una vogatrice, il dirigente del Centro Maree del Comune di Venezia; immagini struggenti e poetiche di una città che a poco a poco si svuota e il moto ondoso scompare; filmati di repertorio in bianco e nero (del padre) documentano la vulnerabilità del cambiamento e la necessità di trovare una speranza cui restare aggrappati. Per i veneziani è il desiderio, spesso impossibile, di restare nella città dove sono cresciuti. Per Andrea Segre è capire cosa vuol dire essere padre.
Ed ecco che arriviamo a comprendere il titolo del film.
Molecole traccia il percorso di un figlio – e dei veneziani – come un elettroni solitari alla ricerca di una comprensione del destino.

La scienza diventa uno strumento per decifrare l’assurdo della vita, per trovare regole al caos, per provare a capire il destino attraverso molecole in grado di sconvolgere il mondo.
La lettera finale, una conversazione immaginaria tra Andrea e Ulderico, è un soffio commovente che arriva diritto al cuore.
Molecole è un film incredibilmente semplice e ancora più incredibilmente emozionante nella sua capacità di scatenare vari gradi di sensazioni, dalla commozione al dolore, dallo stupore alla tragedia fino a quella speranza da afferrare.

Come racconta Gigi, il pescatore “C’è qualcosa di materialmente sacro nel pescare da soli: bisogna affidarsi a ciò che non si può prevedere e saper riconoscere segni così piccoli che spesso scompaiono prima che si possa notarli”.