Aldo ha 60 anni, è marocchino, si chiama Abdelouahaba e vive in Italia da trentasei anni; Elia è suo figlio, si chiama Ilyes ha 34 anni e vive in Italia da 33 anni e 6 mesi.

Elia, in un viaggio da Brescia al Marocco, passando da Ventimiglia per la Francia e poi la Spagna, accompagna il padre che vuole tornare al suo Paese. Aldo/Abdelouahaba è arrivato in Italia negli anni 80; era stato suo fratello a chiamarlo; e lui, attrezzista, aveva lasciato la Patria, per dare un futuro migliore alla giovane moglie.

“Il primissimo impulso che mi ha spinto a scrivere e voler realizzare questo film è stato: “Voglio fare un film sull’Italia”. Non mi interessa un film politico, quello che ho in mente è un film che parli dell’Italia, ma solo per osservarne il mutamento sociologico degli ultimi quarant’anni attraverso gli occhi miei e di mio padre”.

Talien è un viaggio nei ricordi ed è la storia di un uomo. Il regista raccoglie le parole e racconti del padre durante questo viaggio di ritorno, su un vecchio furgone. Dopo numerosi anni di sacrifici i due sono riusciti a trasformare un vecchio camion militare in un camper, un mezzo unico. A Gennaio del 2016 il camper è finalmente pronto.

A volte parlano in dialetto bresciano altre volte in arabo, in entrambi i casi c’è bisogno di sottotitoli. Succede spesso che nei discorsi la lingua italiana ceda il passo all’arabo e viceversa. C’è una forte identità di tradizioni e di cultura, sanno chi sono e da dove vengono. Per quanto riguarda il dove vanno: Aldo sa dove vuole tornare. Elia, dopo quattro gastriti in due anni a causa del lavoro, ne cerca un altro.
“Credo che l’identità culturale di ciascuno di noi si formi non solo in famiglia ma anche attraverso il proprio contesto. Il mio contesto di crescita è sempre stato quello padano; Battista, che conosciamo nella primissima scena del film è proprio l’emblema di questo; un carissimo amico, un parente acquisito ed allo stesso tempo il simbolo della stranezza dei legami tra le persone”.


Un padre e un figlio che parlano e si raccontano in un’intimità famigliare. Tanti dialoghi che riempiono la strada, discorsi su tutto: sul passato, sulla famiglia, su fogli di via e permessi di soggiorno, aneddoti di vita e futuro.
Elia Mouatamid con semplicità accoglie il pubblico sul furgone rendendolo partecipe della vita di suo padre. C’è umorismo e malinconia. Il legame tra Aldo e l’Italia è molto forte. Mentre si accenna alla attuale, Aldo dice “Se non fossi venuto in Italia in quegli anni, non avrei mai creduto che l’Italia era così!”
Un piccolo imprenditore: da venditore ambulante fino a mettere in piedi un calzaturificio. “Questo film è la rievocazione di un passato, delle vicissitudini che l’hanno segnato. È la necessità di dare spiegazione al cambiamento della condizione di un uomo: da immigrato a lavoratore; da nulla tenente ad imprenditore”.
Avrebbe potuto fare di più, ma la salute cagionevole della moglie non gliel’ha consentito. Ma questo era il destino.

“Vi ho cresciuti, vi ho fatti studiare. Ho portato a termine il mio compito e ora sento il bisogno di tornare a Casa”.