Valigette atomiche. Altro che Mcguffin. Qui le bombe esplodono sul serio e a volte nemmeno Jack può fare nulla.
Queste due Bauer hours chiudono un primo arco narrativo. Segnano il punto su un climax. La terza ora del giorno si conclude con la minaccia di un’esplosione atomica, con la consapevolezza che Fayed è in possesso di un vecchio ordigno nucleare russo pronto a detonare.
Si inizia a triturare azione e la narrazione emerge nella sua potenza. Hassad e Jack continuano a lavorare in ottima sintonia, organizzando un trappola perfetta per seguire uno degli uomini di Fayed. Ahmed, nel frattempo, tiene sotto scacco la terrorizzata famigliola.
Fayed si prende gioco del Presidente, facendolo cedere alla sua richiesta di scarcerare cento prigionieri e Sandra Palmer si rivela un personaggio eccessivamente legato ai suoi principi in un momento di crisi che più che mai richiede il compresso tra libertà individuale e misure di costrizione. Il gioco di twists & turns è ben visibile sin dall’inizio ma cresce e concorre a creare la giusta tensione.
La posta in gioco si alza immediatamente e la quarta ora si conclude con il fungo atomico nel cielo soleggiato di Los Angeles. Non è la prima volta che una nuke arriva sul suolo americano e detona, ma nel Day Two assumeva toni meno disastrosi e più epici (la bomba veniva fatta esplodere nel deserto, in una cavità geologica. Toccava a Jack sacrificarsi per la nazione, ma mentre era in volo con la bomba scalpitante, e piangendo salutava al telefono sua figlia Kim, compariva il capo del CTU, un dead man walking, poiché già esposto alle radiazioni, che lo sostituiva).
Se nel Day Two l’evento assumeva i toni drammatici qui esplode in tutta la sua violenza e imprevedibilità. E in un momento in cui Jack è completamente smarrito. Ha appena sparato al suo collega Curtis Manning, i cui nervi erano irrimediabilmente crollati davanti alla grazia concessa dal Presidente ad Hassad. L’antefatto, che noi veniamo a sapere grazie ad una telefonata di Chloe O’Brian a Jack, è che durante Desert Storm, Curtis e il suo battaglione erano caduti in un’imboscata e il signor Hassad in persona aveva provveduto a sgozzare due soldati.
Ecco come emerge il conflitto etico, morale, politico, umano in 24. Grazie all’azione, alla catena narrativa. Jack si allontana, si sente male, piange (il pianto dell’eroe è una componente che spesso ritorna). La soglia di eccitamento è alta. E l’intera querelle che si sta sviluppando al CTU tra Milo e Morris O’Brien sembra essere fine a se stessa.
Jack rassegna le sue dimissioni, ma l’esplosione in lontananza non può che fargli cambiare idea.
La formula del tempo reale associata alla realtà fatta d’emergenza non ammette momenti di riposo. La minaccia è stratificata, immensamente complessa e va decifrata. Oltre all’urgenza c’è la detection e la storia da dipanare ha il fiato della catastrofe sul collo.