Attesa lunga, logorante, inframezzata da notizie contraddittorie e malaugurate, e che poi alla fine si sono rivelate fuorvianti (benché vere); alla fine, dopo circa un anno e mezzo, Jack Bauer è tornato. Non ancora con la settima stagione della serie che lo vede protagonista, ma con un film tv che fa da prequel alla settima stagione e da introduzione ai nuovi personaggi e ai nuovi intrighi della serie.
Così, dopo il rinvio della stagione – a causa dello sciopero degli sceneggiatori, l’incarcerazione di Kiefer Sutherland e più di una riscrittura (e sì che la stagione comincerà i primi di gennaio, e già on line se ne possono vedere i primi 17 minuti), vede la luce 24:Redemption, un tv-movie di due ore che non solo ha il compito di tappare il vuoto di mercato, ma anche quello di provare ad adattare la formula al formato classico del film, per testare forse un trasloco su grande schermo. Si può dire che abbiano fatto centro.
Jack Bauer, per scappare dalle maglie della giustizia americana (che vuole incriminarlo per tortura), si trova in Africa, dove si occupa della scuola americana. Ma quando un generale comincia a dare la caccia ai minori per farne il proprio esercito, dovrà tornare alla carica, entrando a contatto forzato con l’ambasciata americana. Nel frattempo, in patria, il primo presidente donna sta per insediarsi.
Scritto da Howard Gordon e diretto da Jon Cassar, sotto la supervisione di Surnow e Cochran, il film parte dal pretesto delle innumerevoli guerre civili africane, segnate dall’uso di bimbi come macchine di morte, per raccontare a suo modo il rapporto tra USA e Africa, raccontando le disperati condizioni politiche di quei popoli e, al contempo, le responsabilità dei bianchi, sia politiche sia umanitarie (la descrizione degli interessi dietro gli aiuti è velata ma lacerante), anche se in questo senso è un po’ più univoco del solito, facendo filtrare l’aura del congenito paternalismo bianco verso l’Africa; più complesso e problematico lo sguardo sul fronte interno, sia per la storia dei misteri attorno al presidente, sia soprattutto per l’atmosfera torbida che Cassar e soci riescono a creare: basti pensare che per Jack, tornare a casa, significa compiere la sua missione, ma soprattutto condannarsi alla prigione.
Ovviamente la cosa più difficile di Redemption è adattare un concetto rivoluzionario di tempo reale durante un anno al più “comune” tempo reale di un solo frammento, rallentando una costruzione che, giocoforza, meno respiro e calibrandola su coordinate da film, e nonostante l’arditezza dell’impresa, ci si può ritenere soddisfatti: Cassar e Gordon limitano gli eccessi ricattatori e i colpi bassi e per esigenze di equilibrio aumentano gli intrighi e diminuiscono l’azione (Jack si esibisce in un “assolo” dopo più di 30 minuti), ma la tensione e la suspense funzionano notevolmente e sono presenti tutti gli elementi cardine della serie, come il sacrificio.
Certo, la sceneggiatura deve fare i salti mortali per gestire in meno di un’ora e mezza effettiva molte linee narrative, ma riesce a seminare con cura, come nella trama della nuova presidentessa in attesa dell’insediamento (specchio dell’America che aspetta Obama) che prende fiato negli ultimi minuti, si lancia per la stagione e si conclude con un significativo finale, durante il discorso d’insediamento; per non parlare del lavoro di parziale ridefinizione del personaggio di Bauer, una specie di Bruce Banner. La regia segue i parametri stabiliti 7 anni fa da Cochran e Surnow e ormai viaggia a vele spiegate, così come Kiefer Sutherland, padrone assoluto della scena che si mangia persino un comprimario di lusso come Robert Carlyle.
E noi fans accaniti, che non possiamo fare a meno di attendere, archiviamo con soddisfazione questo maxi-prologo, sperando di potere, da gennaio, rivedere i fasti della quinta stagione.