33TFF: “La patota – Paulina” di Santiago Mitre

Una donna coraggiosa contro la legge delle gang

Torino 33
Nell’Argentina dei nostri giorni, Paulina Vidal è una giovane avvocato che interrompe una brillante carriera per partecipare, insieme al fidanzato Alberto, a un progetto sociale nel quale ha il compito di insegnare educazione politica nelle campagne, tra i più emarginati. Laggiù non vi è coscienza alcuna della politica ma anzi essa è rifiutata, così come l’integrazione (nessuno sa – o vuole rispondere – a domande del tipo quale sia il regime politico dell’Argentina), viste come sottomissione e non partecipazione e dove la legge è quella degli istinti primordiali, della sopraffazione: la legge delle gang.

La scelta di Paulina è contrastata ma poi in definitiva appoggiata anche dal padre, un giudice importante e potente, un raro progressista in una società molto conservatrice, che, vedovo, l’aveva cresciuta da solo.
Una notte una gang la violenta. La vittima avrebbe dovuto essere un’altra donna, che andava punita per aver lasciato il fidanzato Ciro, il boss del gruppo, che è costretto a vendicarsi per conservare il suo onore di fronte ai “suoi uomini”. Quella che Paulina subisce da Ciro e dagli altri è brutalità vigliacca e ottusa.

Curata dalle lesioni, Paulina ritorna al villaggio e riprende il suo lavoro, indagando con discrezione per individuare i colpevoli: ha un suo piano, convinta che la giustizia sappia sì infliggere punizioni, ma non risolvere le cause del crimine. Nel contempo apprende di essere rimasta incinta dello stupratore, ma decide di non abortire. Una scelta a causa della quale finisce la sua già fragile relazione con Alberto. Anche il padre cerca in ogni modo di convincerla, mettendola di fronte alle sue stesse contraddizioni: “Se fosse stato Alberto ad averti violentata, tu abortiresti?” – chiede lui. “Sì” risponde lei.

Ma la donna, con determinazione e coraggio, si reca nella segheria nella foresta, dove lavora Ciro, gli chiede di incontrarla dopo il lavoro, per parlare. Lei sceglie un luogo non a caso: proprio l’edificio abbandonato dove si è consumato lo stupro. “Non è una sindrome di Stoccolma” – spiega alla terapeuta – . “Non mi sono innamorata del mio rapitore. Sono stata violentata e volevo parlare con quell’uomo”. L’uomo acconsente all’incontro, ma mentre si sta recando all’appuntamento con Paulina, insieme ai complici è catturato dalla polizia, che agisce per un repentino ordine del giudice Vidal. I colpevoli le vengono mostrati lividi e laceri dopo il trattamento violento e brutale subito dai poliziotti, ma Paulina finge di non riconoscerli.

Paulina, che pure è “vittima, non eroina” (come la ammonisce il padre), non cerca vendetta, cerca di capire e di far capire. Ha compreso che la brutalità non porta se non ad altra brutalità, che i metodi violenti della polizia, i metodi sbrigativi di suo padre, non producono benefici per nessuno. Paulina non vuole inimicarsi la gente del villaggio, perché vuole continuare a vivere e lavorare per quella comunità, inseguendo l’ideale in cui crede. Ma soprattutto vuole tentare una strada nuova, quella del dialogo, della conciliazione, forse del perdono, certamente vorrebbe abbattere le gabbie dell’ignoranza e di quel malinteso senso dell’onore e del machismo. Per ora le viene impedito di farlo, ma è forse ancora in tempo. Se i colpevoli saranno rilasciati, se il bambino nascerà…

Il film è girato con un susseguirsi di flash back che si alternato e seguono il filo della dichiarazione che Paulina rende a una psicologa legale. Un poco arduo mettere in fila tutti i brani così frammentati ma alla fine il puzzle si compone con chiarezza ed emerge un racconto di dolore ma anche di maturità, dove è compreso persino l’intervento del padre (“Al tuo posto, se avessero violentato mia figlia, che cosa avrei fatto io? Di certo le stesse cose”), ma non giustificato (“però questa è la mia vita, non la tua”). Dove emerge con chiarezza quella “terza via” della conciliazione che è la soluzione certo più difficile, più lunga, ma, contro ogni banalizzazione, è quasi sempre l’unica percorribile con qualche possibilità di successo, come ben sa chi si occupa di giustizia.
Una pellicola complessa di impegno sociale e civile, con una ottima interpretazione di tutto il cast e della protagonista in particolare.

Si tratta anche di una significativa prova per Santiago Mitre, trentacinquenne regista di Buenos Aires, che con questo lavoro ha meritato molti riconoscimenti tra i quali il premio principale della settimana della critica e il premio FIPRESCI della critica internazionale al festival di Cannes 2015.

Titolo originale: La Patota
Nazione: Argentina, Brasile, Francia
Anno: 2015
Genere: Thriller
Durata: 103′
Regia: Santiago Mitre
Cast: Dolores Fonzi, Oscar Martínez, Esteban Lamothe, Cristian Salguero
Produzione: VideoFilmes, Story Lab, Lita Stantic Producciones
Data di uscita: Cannes 2015