Fuori Concorso
Jun Ariyoshi è un giovanotto schivo, timido e silenzioso. Finisce in carcere per il feroce omicidio di un cliente del gay bar in cui lavora che ha avuro la malaugurata idea di violentarlo.
Shiro Kazuki è giovane, bello e maledetto. Finisce in carcere lo stesso giorno di Jun e per lo stesso reato; il ragazzo ha infatti ucciso uno sconosciuto senza un motivo apparente, picchiandolo a sangue.
Tra i due, nel carcere bunker spoglio e buio dove sono stati rinchiusi, nascerà qualcosa di speciale. Shiro, votato all’autodistruzione sin da bambino, difende Jun dai galeotti che vorrebbero approfittare dell’ingenuità del giovane. Jun è affascinato da questo ragazzo ricoperto di tatuaggi e dalla rissa facile.
Quando un giorno, un secondino, attirato dalle grida, scopre Jun con le mani intorno al collo di Shiro senza vita, nessuno vuole crederci: Jun non può aver tolto la vita alla persona che ha amato.
Le indagini che seguiranno il delitto scoprono una realtà ben più complessa di quanto non si potesse credere; storie di vendette, di amori non corrisposti e non consumati, portano i due detective incaricati del caso a scagionare Jun. Ma la vita del ragazzo non è più la stessa.
Miike stupisce ancora; e stavolta stupisce decidendo di non stupire, abbandonando l’horror ed il gore che l’hanno reso uno dei registi di culto del terzo millennio e dando vita ad una storia dai mille risvolti che risulta difficile da commentare, sia per l’alone di ermetismo che la ammanta (cosa rappresentano lo shuttle ed il monte che porta al paradiso, l’uno in contrasto con l’altro?), sia per i diversi linguaggi filmici utilizzati, che di fatto fanno di quest’opus un ibrido incompleto. Melodramma, poliziesco, documentario e ancora fantasmi, sangue, pestaggi, analisi sociale, digressioni oniriche. Un lavoro del genere, per quanto oggettivamente difficilmente digeribile, meriterebbe discettazioni ben più approfondite.
In sostanza il fil rouge che sembra percorrere tutto il film è una ricerca: il regista nipponico abbandona la violenza per cercare di spiegarne le cause. E la domanda che si pone è la seguente: è possibile perdonare le azioni di un ragazzo come Shiro, cresciuto in un ambiente violento e quindi divenuto una persona violenta?
Il film, in ogni caso, è girato ottimamente, specialmente quando Miike si ricorda quanto è bravo nell’usare la camera fissa. L’ambientazione, questa prigione che vive in un non-luogo ed in un non-tempo, è sicuramente tanto affascinante quanto inquietante. I due giovani attori protagonisti ci sanno fare e recitano con una malinconia ed un disincanto che spezzano il cuore.
BIG BANG LOVE, JUVENILE A
Giappone, 2006, 35mm, 85′, col.
regia/director Miike Takashi
soggetto/story dal romanzo di/from the novel by Ikki Kajiwara, Hisao Maki
sceneggiatura/screenplay Masa Nakamura
fotografia/director of photography Masahito Kaneko
scenografia/set design Nao Sasaki
costumi/costume design Michiko Kitamura
montaggio/film editor Yasushi Shimamura
interpreti e personaggi/cast and characters Ryuhei Matsuda (Jun Ariyoshi), Masanobu Ando (Shiro Kazuki), Shunsuke Kubozuka, Kiyohiko Shibukawa, Jo Kanamori, Ryo Ishibashi, Renji Ishibashi, Kenichi Endo, Shirô Kazuki
produttore/producer Shiro Sasaki, Takeshi Watanabe
produzione/production Eisei Gekijo, Excellent Film, Maki Production, Shochiku Kinema Kenkyû-jo
distribuzione, vendita/distribution, foreign sales agent Shochiku Co. Ltd.