“ARLECCHINO SERVITORE DI DUE PADRONI” di Carlo Goldoni

La forza della tradizione

Arlecchino, Brighella, Dottor Lombardo e Pantalone sono le maschere che rivivono all’interno di questo spettacolo ideato da Goldoni ma diretto da Strehler e riproposto ancora oggi grazie all’infaticabile Ferruccio Soleri, Arlecchino del cast e curatore della messinscena. A trecento anni dalla morte di Goldoni, dieci da quella di Strehler e a sessant’anni dalla fondazione del rinomato Piccolo Teatro di Strehler ancora una volta l’Arlecchino torna in scena per celebrare questo triplice anniversario.

A casa di Pantalone dei Bisognosi la figlia Clarice festeggia il suo fidanzamento con Silvio, il figlio di Dottor Lombardo. L’idillio è frantumato dalla notizia che il torinese Federico Rasponi, futuro sposo di Clarice ritenuto morto a seguito di un duello, è a Venezia per incontrare la sua promessa ma la fanciulla non è intenzionata ad assecondare le nozze con lo sconosciuto torinese. In realtà nessuno dei presenti si accorge dell’inganno: il pretendente che si presenta da Pantalone altri non è che la sorella di Rasponi Beatrice, giunta a Venezia per trovare il fuggitivo Florindo – l’innamorato di Beatrice accusato di aver ucciso Federico a duello- e guadagnare da Pantalone del denaro sotto le mentite spoglie del defunto fratello. Inevitabile il conflitto tra Dottor Lombardo e Pantalone, il quale è deciso a celebrare le nozze tra la figlia e il fasullo Federico. Nel frattempo Arlecchino, già al servizio di Federico/Beatrice, decide di mettere alla prova la sua abilità servendo anche Florindo. Per non essere smascherato Arlecchino cerca di evitare in tutti i modi che i suoi due padroni scoprano l’uno dell’altro, inconsapevole che il loro incontro potrebbe sciogliere tutti i problemi e riportare l’equilibrio. La situazione diviene sempre più complessa a causa di diverse gag che lo vedono protagonista nella locanda di Brighella, fino a quando i due innamorati, convinti della morte del rispettivo amato, si ritrovano e sciolgono anche il dissidio tra Clarice-Silvio e Pantalone-Dottor Lombardo; alla fine lo stresso Arlecchino, per riuscire ad avere in sposa la serva di Clarice Smeraldina, rivela ai rispettivi padroni la sua identità e la causa del mancato incontro tra Beatrice e Florindo.

Ancor prima di aver visto Arlecchino servitore di due padroni dal vivo avevo avuto l’occasione di vederne una registrazione Rai datata 1972, senza proposito di notare somiglianze/dissonanze tra i due spettacoli, data l’enorme diversità tra teatro e cinema. Nonostante questa mia promessa non potei trattenermi dal notare l’estrema somiglianza tra le scenografie delle due versioni, a dispetto dei trent’anni che le separano. Lo stupore diviene ancora più forte una volta avuto inizio lo spettacolo; sebbene nel corso del tempo si siano avvicendati attori diversi rispetto a quelli che hanno calcato le scene nel ’72, ho avuto la straniante sensazione di rivedere la medesima scenografia riproporsi ai miei occhi, forse molto simile anche a quella della stagione teatrale 1947, anno di nascita dell’Arlecchino diretto da Strehler. La scenografia è molto semplice e consiste in tre teloni dipinti, fatti scorrere dagli assistenti fuori scena, che ripropongono tre location differenti: la casa di Pantalone, Venezia e la locanda di Brighella. Ancora oggi la stessa semplicità di un tempo che sembra non invecchiare mai. Attorno al palchetto di legno contenente la scenografia e che vede svolgersi la vicenda e gli intrighi abbiamo un fuori scena occupato dagli “assistenti” rigorosamente in costume: musicisti, garzoni, perfino il “gobbo” un po’ distratto che non suggerisce le battute al povero Pantalone; uno spettacolo nello spettacolo che rende ancora più sentita la visione dell’Arlecchino da parte dello spettatore. Una volta avuto inizio l’evento teatrale mi accorgo di avere alcune difficoltà nel capire i dialoghi, dato l’uso del veneziano da parte dei personaggi aventi la maschera: per me è un impresa ardua ma ben presto mi accorgo di quanto sia secondario comprendere la storia alla perfezione in confronto alla bellezza dei movimenti e alla fortissima espressività della recitazione. Non sono necessari i sottotitoli per apprezzare il divario fisico tra il pingue e tronfio Dottor Lombardo e lo scarno e curvo Pantalone, complementari nel fisico e nella recitazione, che spesso la storia li vede alleati ma verso la fine protagonisti di un alterco dove il linguaggio del corpo aderisce al fuoco delle loro stesse parole. Centrale nella sua fisicità è il protagonista Arlecchino, interpretato dal 1963 dal grande Ferruccio Soleri : con la sua dinamicità acrobatica e la scoppiettante vitalità –nonostante i 78 anni Soleri ha energia da vendere!- sopperisce alla difficile comprensibilità dell’eloquio e fa sgusciare lo spettacolo lontano dal logocentrismo che ha contraddistinto la tradizione teatrale del dopoguerra (periodo di nascita dello stesso spettacolo). Fisicità che rappresenta il filo rosso di questo spettacolo e che coinvolge lo spettatore come agente stesso della performance: da ricordare lo spassoso lazzo della mosca dove Arlecchino tenta di acchiappare una mosca e si rivolge al pubblico richiedendo silenzio, ovviamente a seguito del suo richiamo la folla, per dispetto, continua a rumoreggiare per impedire all’Arlecchino di raggiungere i suoi intenti costringendolo a farsi in quattro per catturare l’agognata mosca, destinata a divenire l’unico “desinare” dell’affamato Arlecchino. Il loro corpo diviene un linguaggio più profondo e universale della parola, spettacolo corporeo che incanta e va oltre alla comprensione dei significati, affascinandoci con i loro movimenti senza tempo, con la loro comicità semplice e spontanea che tocca la sensibilità di tutti compresa persino da cinesi e giapponesi che hanno decantato questo spettacolo nonostante la diversità della loro lingua e cultura; forse il motivo di questo successo è proprio l’essenzialità nel modo di comunicare di questi personaggi capaci di affascinare qualsiasi uomo, ancestrali quanto l’innocenza infantile dei loro desideri, bisogni o battibecchi: tutto questo va pari passo con la loro limpida gestualità diviene non solo un proprio mezzo d’espressione ma una parte integrante del loro carattere. A rendere questi personaggi ancor più senza tempo e riconoscibili sono le stesse maschere -reintrodotte da Strehler dopo che Goldoni aveva deciso di abolirle a favore di una maggiore caratterizzazione dei singoli personaggi- che racchiudono individui da tutti noi conosciuti e ancor più amabili per il loro essere tipizzati, facilmente riconoscibili da tutte le generazioni e vederli vivere sotto i propri occhi ci rapisce e ci trascina nel loro stesso mondo, ci fa ridere delle loro disgrazie e dei loro giochi come se si stessero svolgendo sotto i nostri occhi, come se condividessimo il loro stesso spazio fino a spingerci ad interagire con loro (con la voce, le risate o loro spirito). E’in quel punto che si svela il segreto di uno spettacolo che è tradizionale abbastanza da rientrare nelle nostre conoscenze e nel nostro bagaglio culturale e di mantenere una forza che li rende sempre attuali –anzi istantanei- e godibili anche a pubblici di periodi storici così diversi. E’ in quel momento che il pubblico dimentica di essere di fronte ad una tradizione, che i presenti diventano parte stessa di uno evento dalla freschezza tale che dà l’illusione d’immediatezza tanto che il ricordo di quella scenografia gemella datata 1972 inizia a sfumare. La fisicità dei corpi e l’astrattezza delle maschere, ingredienti ripresi, quasi filologicamente, dalla Commedia dell’Arte, si mescolano al rigore dello studio su questo modello cinquecentesco effettuato da Strehler che cerca di ridare carica ed energia ad una tradizione ormai così lontana ma non per questo indegna di far sorridere il pubblico di qualsiasi età, cultura, gruppo sociale.

Regia: Giorgio Strehler. Messa in scena da Ferruccio Soleri con la collaborazione di Stefano de Luca. Scene: Ezio Frigerio. Costumi: Franca Squarciapino. Luci: Gerardo Modica. Musiche: Fiorenzo Carpi. Movimenti mimici: Marise Flach. Scenografia collaboratrice: Leila Fteria. Attori: Ferruccio Soleri e Enrico Bonavera, Giorgio Dongiovanni, Paolo Calabresi, Francesca Coldella, Luca Criscuoli, Alessandra Gigli, Stefano Guizzi, Tommaso Minniti, Sergio Leone, Stefano Onofri, Annamaria Rossano, Giorgia Senesi, Sara Zoia e con Gianni Bobbio, Franco Emaldi, Paolo Mattei