Paolo Rumiz ha scritto di un viaggio; Roberta Biagiarelli e Filippo Plancher lo hanno letto al pubblico. Paolo Rumiz lo ha intitolato “La leggenda dei monti naviganti” (Feltrinelli, 2007); Biagiarelli e Plancher lo hanno trasformato in “Poema”: qualcosa da cantare ad alta voce, come i vecchi aedi, alla comunità intera.
Un viaggio, quello di Rumiz, pieno di stupore e meraviglia, attraverso la spina dorsale d’Italia, la nostra scogliosi tutta curve che da Vrata, sulla strada per Zagabria, lì dove cominciano le Alpi, porta fino ad un mitico Capo Sud, agognato ultimo sperone d’Italia. Il giornalista percorre tornanti e saliscendi, passa dalla Carnia alla “curva di Cuneo”, la gigantesca inversione di marcia che dalle Alpi inizia a scendere negli Appennini, attraversa gli alpeggi del Molise, e scende, ancora, fino ad arrivare laddove in montagna si sente il profumo dell’acqua salata.
In scena al Centro Culturale Candiani di Mestre, “Il poema dei monti naviganti” ci parla appunto della montagna: un luogo dimenticato, una dimensione naturale, umana e abitativa considerata periferica, marginale, non al-passo-coi-tempi. Un luogo del ricordo e della memoria, verrebbe da dire. Quasi il regno delle fiabe. E infatti Rumiz si mette in viaggio a bordo di una Topolino del 1953, percorre 8000 chilometri, evita città e autostrade, sceglie la lentezza, il tempo disteso, i percorsi meno ovvi.
Un viaggio – anzi, per la verità, una collezione di viaggi: una serie di visite lungo l’arco alpino, disseminate nel tempo; e una vera e propria avventura epica lungo gli Appennini, durante il 2006, che “Repubblica” pubblicò a puntate. Come un romanzo d’appendice; come qualcosa d’altri tempi; come un fatto bizzarro. L’amore per un paese minore, mai protagonista, silenzioso, “pulito e senza voce”, come scrive Rumiz, si trasforma in una denuncia, una polemica, un richiamo alle coscienze.
Roberta Biagiarelli e Filippo Plancher scelgono di leggere ad alta voce questo viaggio, di farne proprio il messaggio e di diventarne cassa di risonanza. La lettura scenica è, come la montagna, essa stessa un territorio di confine. In una lettura teatrale il testo non nasce per il palcoscenico: non è pensato per una fruizione collettiva, ma per un rapporto più intimo, quello tra lo scrittore e il suo lettore. Quando un attore decide di portare in scena un testo che non è stato scritto per essere recitato, letteratura e teatro si toccano, come le due pendici di un monte che salgono su fino a formare la cima. Letteratura e teatro vanno a braccetto complici, trasformano l’esperienza individuale in collettiva, e la trasfigurano: nel senso letterale di proporre una figura –un senso- “oltre”.
Far diventare collettiva la suggestione di questo testo ci sembra appunto il “senso oltre” in questione. Amplificarne il senso dell’amore e della denuncia: perché, ascoltando di posti incantati, incontri gentili, strade panoramiche e avventure temerarie, ci sembra quasi che Roberta Biagiarelli e Filippo Plancher ci stiano raccontando una favola. Lo vediamo negli occhi di Roberta Biagiarelli, che ammiccano e si muovono veloci, nel suo volto che sorride sempre, un po’ sornione, nelle scarpette rosse che sembrano proprio quelle dei fumetti, delle favole. Lo vediamo nell’armonica a bocca di Filippo Plancher, perché una bella storia ha sempre una colonna sonora, come negli audiolibri dei bambini, come al cinema, come nelle favole, appunto. Ma le favole hanno una morale.
Questo “Poema dei monti naviganti” non è una favola. È tutto vero. Possiamo anche farci cullare dall’incanto del bello, o trascinare dall’immaginazione, ma la realtà è che è una storia vera. Una storia vera e bella: e questo ci sconvolge, ed è quasi difficile da comprendere, perché siamo più abituati alla verità del brutto e del difficile. I malgari esistono ancora – davvero. In Italia ci sono posti dove il telefonino non prende – davvero. I bar di paese con la foto di Bartali ci sono ancora – davvero.
“Il poema dei monti naviganti” è una storia vera e bella, e se crediamo che sia una favola, sembrano dirci Roberta Biagiarelli e Filippo Plancher, allora abbiamo iniziato anche noi ad allontanarla, sempre di più, dalla realtà.
“Il poema dei monti naviganti”, al Centro Culturale Candiani di Mestre Venezia, giovedì 17 gennaio 2008, ore 21.00
IL POEMA DEI MONTI NAVIGANTI – un’idea di Roberta Biagiarelli dal libro “La leggenda dei monti naviganti” di Paolo Rumiz (Feltrinelli 2007).
Lettura scenica con Roberta Biagiarelli e Filippo Plancher; collaborazione Eleonora Moro; luci Giovanni Garbo; produzione Babelia&C.
www.babelia.org
www.centroculturalecandiani.it
Foto: © Tommaso Saccarola