Il regista Giuseppe Piccioni, Valerio Mastandrea, Valeria Golino, Sonia Bergamasco e Francesco Bianconi dei Baustelle, hanno presentato a Milano il film “Giulia non esce la sera“.
Riguardo alla struttura calligrafica del film, Piccioni ha subito precisato: “Ho voluto raccontare una storia d’amore, cercando anche di dire altro. In questo film ci sono alcuni segni, alcune scelte che creano un piccolo grado di separazione tra realtà e immaginazione. Come la piscina, luogo concreto e astratto, una zona franca tra i due protagonisti. O come il trasloco e il conseguente abbandono di una casa, o le poche persone che ci sono nel bar. E importante è il ruolo dell’adolescente, che cerca il significato, che pone domande… è l’adolescente ad avere qualcosa in cui credere, addirittura può dare delle risposte.
Chi sono i protagonisti di Giulia non esce la sera? Come si muovono all’interno della vita?
Piccioni: “La mia intenzione è stata quella di raccontare una storia dove al centro ci fosse uno scrittore. Guido, come alcune figure di intellettuali, guardano alla realtà con una discreta paura di prendere posizioni, ma non nel senso di opinionismi, ma nel senso di entrare nel corso della storia e cambiarla. È come se Guido non scegliesse. Quando entra in contatto con Giulia si lascia andare, ma sempre in modo trattenuto. Nei suoi libri racconta, come un desiderio, di subire una qualche forma di innamoramento.”
Mastandrea: “I personaggi come Guido sono i più interessanti, mi piace quando un personaggio non è drammaturgicamente salvato. Considero Guido un essere umano molto presente nella nostra società. Ha un atteggiamento da “non scegliere mai”, addirittura si fa illuminare la via da un bambino. Ritengo che questo genere di persone sia reale. Giulia non esce la sera racconta una cosa importante. Racconta due solitudini, lontane, ma identiche, perché solo insieme potrebbero andare avanti. Ma a lui manca il coraggio di amare. Credo che se una ha sempre paura, ma supera tutti i suoi timori, quando davanti c’è l’amore ha vinto.”
Piccioni: “Qualcuno diceva “le parole sono pietre”. Guido interviene così nella vita. Ha uno strano rapporto con la moglie. Ho scelto di non raccontare la crisi di coppia, anche il rapporto con la figlia è laterale. Non ho raccontato un fenomeno di costume, il conflitto non viene mai dichiarata dai due personaggi. Ho messo in evidenza le due solitudini di Guido e Giulia. La solitudine di Guido non è legata a un hadincap, ha una vita sociale. La sua solitudine è quella di non rientrare, di non far parte della corrente. Giulia ha una solitudine opposta a Guido. Giulia ha speso tutta la sua vita, facendo delle scelte.”
Sonia Bergamasco: “Ci sono due strade parallele, due famiglie parallele con al centro Guido che non sta né con una né con l’altra. Benedetta è un personaggio positivo. Vuole la sua famiglia con Guido, ma nello stesso tempo ha bisogno di affermarsi con una sua dignità, che non sa se riuscirà a realizzare con lui.
Per me è stato importante lo specchio con il personaggio di Valeria. Sono due donne che si sfiorano. Giulia è un personaggio negativo, perché ha sbagliato fino in fondo. La femminilità di Benedetta rientra in uno schema di normalità, anche con il suo desiderio di affermarsi come donna.”
Piccioni: “Ho lavorato molto su Giulia. Non ho voluto espressamente raccontare la situazione del sistema carcerario. Ho concentrato la mia curiosità sulle scelte irreversibili di Giulia. Con Valeria abbiamo incontrato alcune persone, che hanno commesso irreparabili sbagli, ho osservato che c’è sempre un’ombra, che li lascia scarichi, cercano con disciplina di restituirsi una possibilità. Giulia ha paura di concedersi questa possibilità. Con Valeria abbiamo cercato di raccontare la solitudine del personaggio attraverso il suo sguardo e il tono della sua voce. Questi elementi, fin dall’inizio danno l’idea di un vuoto incolmabile. Ha paura di riaccendere in lei qualsiasi speranza, perché se fossero disattese, lei crollerebbe. Giulia è un personaggio a tuttotondo, ovunque tenti di muoversi è in gabbia.”
Valeria Golino: “Nella realtà questi personaggi, mediaticamente divengono dei mostri. Sono persone estremizzate dalla cronaca, sono portati ad esempio per indicare cosa non va fatto. Sono stata in alcune strutture carcerarie, in quelle di Velletri e Rebibbia, ho passato poco tempo lì dentro, è vero. Lì sono venuta a contatto con persone che vivono in un regime di semi libertà. E ho preso atto che le detenute non sono trattate come mostri dal personale del carcere, non ci sono giudizi su di loro.
C’è una struttura più umana di quello che si possa immaginare, c’era un qualcosa che aveva senso. Certo non era il Club Mediterranè… Giulia è un personaggio emblematico, ma certo non romantico, non riesco a redimerla. Non si pente, non si giustifica. Si pente solo di aver abbandonato la figlia. Giulia esiste in carcere e esiste in piscina, fuori da questi ambienti no.”
La piscina è un ambiente narrativamente molto presente, l’acqua offre una possibilità ai due protagonisti, a come è arrivato a questa scelta simbolica?
Piccioni: “Non era assolutamente mia intenzione caricare la piscina di tutto questo simbolismo. Ho scelto di raccontare parte della storia in piscina semplicemente perché, negli ultimi due anni, mi è capitato di andarci spesso. Questo luogo mi da l’idea di sospensione, di distacco dal mondo circostante. Anche quando la piscina è affollata si è profondamente soli. È un ambiente che non è il nostro.
Non è stata scelta a tavolino, ma è diventata necessaria, ideale per rappresentare la penombra esistenziale di Guido, nel suo riuscire a stare a galla e non andare a fondo. Abbiamo scelto la piscina perché era in grado di accogliere i miei personaggi in fuga dalla vita, un luogo adatto a escluderli dal mondo circostante. I due, a partire da questo ambiente, affrontano insieme un percorso che insegnerà loro a rivolgere un nuovo sguardo sul mondo.
C’è poi la ripetizione dei gesti, dello sforzo, del respiro, un’apparente illusione di leggerezza.”
Com’è nata la collaborazione con i Baustelle?
Piccioni: “Seguivo da tempo la loro avventura artistica e li ho contattati. Con Francesco Bianconi abbiamo parlato di certe passioni comuni, per un certo tipo di musica leggera. Poi insieme abbiamo pensato che, tranne che per la canzone dei titoli di coda, cantata appunto da Bianconi e dalla Golino, sarebbe stato ancora più interessante se i Baustelle avessero lavorato a una vera e propria colonna sonora. Sono molto soddisfatto del lavoro.”
Bianconi: “Siamo molto contenti. È la prima volta che lavoriamo per il cinema. Nei primi due dischi, abbiamo scritto, nel libretto, che i Baustelle erano disponibili a comporre colonne sonore su commissione. Quando non lo abbiamo più scritto, siamo stati contattati. Mi sono trovato molto bene con la sensibilità di Giuseppe, che è un amante della musica leggera. È stata un’esperienza bellissima. È stato emozionante vedere il prodotto sul grande schermo.”
Foto a cura di Romina Greggio Copyright © NonSoloCinema.com – Romina Greggio