Viaggio nel Cinema Americano: Richard Gere incontra il pubblico romano

Star e gentiluomo

Giornata internazional-hollywoodiana questa di sabato 17 per il Festival di Roma, in cui sono presenti due star di oggi che ricordano i grandi attori americani degli anni d’oro, Richard Gere e George Clooney.

Richard Gere è atteso per un incontro con pubblico e stampa, per parlare della sua carriera e raccontarsi come persona che al ruolo di sex symbol ha affiancato l’uomo impegnato sui fronti sociale e religioso.

Accoglienza con boato. Piera Detassis ringrazia per la generosità con cui il divo si è prestato a questo incontro; una donna del pubblico chiede di potere realizzare il sogno di una vita: un abbraccio di Richard. La moglie Cary, presente in sala, nicchia e ai fan non resta che l’assedio finale con autografo.
Sul palco ad accoglierlo Mario Sesti e Antonio Monda, che lasciano la parola ad alcune clip dei film di Gere, scelte insieme a lui.
Sullo schermo scorrono il giovanissimo Gere di I giorni del cielo, suo film datato 1978, e di seguito Pretty Woman del 1990:

Monda: ha lavorato con registi come Coppola, Altman, Kurosawa, Malick, che cosa ha imparato da loro?

RG: sono molto sorpreso che Terrence Malick sia venuto qui al Festival di Roma anni fa, ha anche parlato in quell’occasione? Era tanto che non vedevo questo film, è buffo: abbiamo iniziato a girare quando avevo 26 anni, e ne avevo 29 quando è uscito. Solo il montaggio è durato un anno: Terry è straordinario e di grande talento, sia come sceneggiatore che regista, ma non sapeva spiegarsi con noi attori, era frustrante.
“Dimmi cosa vuoi”, gli chiesi. “Io voglio che ti muova come quella tenda, la vita accade e basta”.
_ Mi piace questo tipo di cinema e questa impostazione, siamo degli elementi come l’acqua, il vento, il tempo, e questa è la visione artistica che lo contraddistingue. È stato il mio primo film, fondamentale per la mia evoluzione.
_ Con Altman siamo diventati grandi amici, vi era molta gioia nel nostro rapporto, e con lui sembrava tutta un’improvvisazione. In realtà in Il dottor T e le donne si lavorava con quattro cineprese contemporaneamente, e lui era collegato con tutte, pareva una diretta, è un modo di lavorare come in tv, cinetico, pieno di movimento.

Sesti: in che modo un grande attore di grande notorietà può lottare per una giusta causa?

RG: a volte mi chiedo: cosa sono riuscito ad ottenere in fondo? Forse ho attirato l’attenzione sul dramma del Tibet, ma non so in realtà se io sia riuscito ad aiutare il popolo tibetano. Quello che può fare un attore è tentare di aprire una porta che una volta aperta può creare qualche effetto. Noi dobbiamo tentare di fare qualcosa per cambiare il mondo, e un attore può rapidamente portare molta energia a favore di una causa.

Ed ecco che sullo schermo appare il Richard Gere attore fascinoso nel più classico senso hollywoodiano, quello di Cotton Club di Coppola del 1984, e dei più recenti Chicago e Shall we dance

RG: Quanto mi sono divertito, soprattutto in Chicago! Con Coppola invece non c’era mai una sceneggiatura, era difficile, un miracolo che la cosa abbia funzionato. Tutto il giorno facevo esercizi al pianoforte e alla tromba, e poi è stato fantastico, è nata un’amicizia con Diane (Lane ndr) e abbiamo fatto tre film insieme. Coppola ha un senso epico, è proprio suo: i suoi Padrino sono tra i più bei film della storia, e ha la capacità di raccontare una storia profonda, divertente e coinvolgente allo stesso tempo.

Altro boato del pubblico: sullo schermo passano due spezzoni di American Gigolò (1980) e Ufficiale e Gentiluomo (1981).

RG: Il regista di American Gigolò a un certo punto è venuto da me e mi ha chiesto: per favore, fai con me questo film. È stato un personaggio interessante, prima non avevo mai indossato neanche una cravatta, ma nella sceneggiatura c’era qualcosa che mi piaceva. Il protagonista viveva su due dimensioni; la sfida era la terza dimensione, quella umana: era andare al di là dell’apparenza.

Pubblico: Come si fa a passare da un mondo di star e di lusso cinematografico alla meditazione e spiritualità?

RG: Questo è l’unico posto dove mi possono fare una domanda del genere: voi avete una visione del cinema come Sodoma e Gomorra! Credete, è un lavoro durissimo dove ci si sveglia alle cinque del mattino e si lavora per sedici ore. Sono stato molto fortunato, è fantastico, ma è un lavoro molto impegnativo. Non esistono due mondi, questo e quello della spiritualità, è solo uno il mondo.
Dal punto di vista buddista dobbiamo ricordare che siamo qui per arrivare a uno stato di gioia, e si tratta semplicemente di essere spinti dalla propria motivazione, non c’è dualismo.

Pubblico: Qual è il film che ha più segnato la sua carriera?

RG: Il primo film è stato I giorni del cielo che non ha avuto un grande successo commerciale, ma vinse a Cannes quell’anno, ed è stato un lavoro fantastico, ho lavorato con attori molto seri.
I film che hanno fatto la differenza? Senz’altro American gigolò e Pretty Woman che ha avuto un impatto notevole: anche gli indigeni della giungla del Borneo lo conoscono! Sono stato molto fortunato perché ogni tot anni ho un film di grande successo.

Pubblico: Vorrebbe fare un film da regista?

RG: E’ una domanda complessa: in realtà i vari ruoli di attore, regista, direttore della fotografia non sono ben definiti, ma tutti noi sconfiniamo un po’ da uno all’altro.

Francesca Vieceli Copyright © NonSoloCinema.com – Francesca Vieceli