“Capitalism: a Love Story” di Michael Moore

Dove son finiti i soldi?

Nell’anno nero delle finanze globali c’era da attendersi che anche il cinema si interrogasse sugli avvenimenti di stretta attualità economica (e sociale), argomenti solitamente relegati, nei periodi di boom, ai sottogeneri dei thriller finanziari e ai classici film di guardie e ladri.
Occasione certamente ghiotta che il pluripremiato cineasta Michael Moore non si è fatto sfuggire, preparando a tempo quasi record un documentario, presentato in concorso all’ultima Mostra cinematografica di Venezia, che vuole essere da un lato l’istantanea dell’America attuale, dall’altro un duro attacco al capitalismo senza regole e morale degli ultimi cinquant’anni.

Partiamo da un dato. Negli Stati Uniti l’1% della popolazione controlla il 95% della ricchezza del Paese, percentuali che sembrerebbero più appartenere a uno Stato del terzo mondo che alla prima democrazia del pianeta. Di fatto una concentrazione così estrema di tanta ricchezza in poche persone crea delle vere e proprie oligarchie di potere, con il pericolo più che concreto di influenzare in modo determinante il processo democratico.
_ Se al “giusto” e socialmente accettabile profitto si sostituisce l’avidità come motore trainante dell’iniziativa economica, allora tutto è concesso. Dalla privatizzazione dei carceri minorili, dove si viene rinchiusi per piccoli sgarri, all’assicurazione sulla vita dei dipendenti stipulata a loro insaputa a favore delle aziende.

Moore non si esime dal porre sotto severo esame tutte le storture dell’economia americana che di fatto hanno portato alla grande crisi che stiamo tutt’ora vivendo, sottolineando inoltre come esista negli Stati Uniti un forte deficit di democrazia nel quale i ricchi, seppur pochi, controllano le leve del potere perché riescono a “vendere” ai poveri l’illusione di poter a loro volta diventare un giorno ricchi.

Come però tutti i film documentari “a tesi”, nei quali cioè si parte da un’idea e si cercano di portare il maggior numero di fatti possibili per dimostrare la sua validità universale, si evidenzia come Moore in questa pellicola si sia fatto un po’ troppo trascinare dalla sua verve polemica, perdendo in diversi punti di obiettività oltre che di logica storica.

Invece di puntare sulla soluzione di alcuni problemi concreti come la regolamentazione del mercato, la riduzione dei numerosi conflitti d’interessi e di un’equa ripartizione degli utili aziendali, Moore prospetta un anacronistico, oltre che inattuabile, modello cooperativo per le imprese americane, dove i lavoratori sono i proprietari e viceversa. Come provocazione funziona certamente, ma il problema è che Moore pensa veramente che sia un qualcosa di attuabile e sostenibile per un’intera economia.

Capitalism: A Love Story è da vedere come se si leggesse un pamphlet, pieno sì di provocazioni ideologiche, ma con molti punti interessanti per sviluppare ragionamenti che vadano oltre alle solite verità di facciata sul capitalismo.

Titolo originale: Capitalism: A Love Story
Nazione: U.S.A.
Anno: 2009
Genere: Documentario
Durata: 120′
Regia: Michael Moore
Sito ufficiale: www.capitalismalovestory.com

Produzione: Dog Eat Dog Films, Overture Films, Paramount Vantage
Distribuzione: Mikado
Data di uscita: Venezia 2009
30 Ottobre 2009 (cinema)