Come ragionare slow e godersi la vita. È in uscita nelle sale il documentario prodotto dalla Indigo Film sulla nascita del movimento nato a Parigi nel 1989, che ha cambiato il modo di intendere l’alimentazione.
Le grandi idee nascono da pensieri semplici, legati alla tradizione e alla genuinità. È interessante vedere le fondamenta su cui, dal finire degli anni ’60, si basa tutta la filosofia politica e sociale del movimento Slow Food, ideato e diretto da Carlo Petrini nel 1989 per contrapporsi alla logica deviata dei sempre più invasivi fast food. Pensare globalmente ed agire localmente, efficace slogan in voga da qualche anno nei circuiti della controcultura giovanile, si attaglia perfettamente alle dinamiche di un movimento che rivendica il proprio diritto al piacere, senza che ciò limiti o distrugga le risorse del pianeta.
Dal punto di vista documentaristico, il lavoro di Stefano Sardo non brilla in originalità. Difficile distircarsi bene in tutti quei materiali d’archivio, senza tirarne fuori un’agiografia poco consona al mezzo cinematografico. Una santificazione in piena regola che racconta in maniera decisamente troppo “cronachistica” la genesi di Slow Food, riassumendone ingenuamente il pensiero e non rendendo il giusto tributo al suo deus ex machina. Siamo a Bra – trentamila anime nel cuore del Piemonte – ed è qui che, pur esponendo un materiale grezzo ancora da affinare, arrivano i collegamenti più interessanti del documentario: la militanza politica di Slow food come linea di continuità con le lotte di pensiero dei movimenti di sinistra degli anni 70. Al di là delle idealizzazioni, pochi sanno che la nascita della rivista Gambero Rosso – nel tempo divenuta espressione di una borghesia radical chic – è nata niente meno che come allegato enogastronomico del quotidiano Il manifesto (“molti dei nostri lettori acquistavano il giornale gettando via schifati l’inserto di cultura culinaria. Al contempo, molti lettori di destra, nascondevano il giornale dopo averlo comprato per l’inserto”, sostiene l’allora direttore e fondatore della rivista Stefano Bonilli).
L’attenzione alla Madre Terra, un’altra delle battaglie condotte egregiamente da Carlo Petrini e dai suoi seguaci, ha dato corso negli anni alla nascita di figli legittimi come Grom e di altre piccole grandi realtà locali nate dalla semplice, eppur geniale idea, di ritornare alle materie prime per valorizzare prodotti e produttori. Basti pensare ai presìdi fissi presenti nel nostro paese – circa duecento – che coinvolgono più di 1600 piccoli produttori:contadini, pescatori, norcini, pastori, casari, fornai, pasticceri. E se anche l’amministratore delegato di Mc Donald’s Italia ammette di esserne un accanito sostenitore, è proprio il caso di provare a saperne qualcosa di più: vai Carlin!
Slow Food. Buono, pulito e giusto
Slow Food è un’organizzazione internazionale no profit che, grazie a una rete che coinvolge milioni di persone in 150 Paesi, si impegna affinché tutti possano conoscere e apprezzare il buon cibo: buono per chi si nutre, per chi lo coltiva e per l’ambiente.
Slow Food può contare su oltre 1500 convivia (gruppi a livello locale) in tutto il mondo, nonché su una rete di 2000 comunità del cibo, riunite nella rete di Terra Madre, che praticano la produzione sostenibile su piccola scala di cibi di qualità.
Buono, pulito e giusto.
Per Slow Food il cibo che mangiamo deve essere buono e sano: ottenuto senza danneggiare l’ambiente, nel rispetto della salute degli animali e del lavoro dei produttori che devono ricevere equa remunerazione.
*I Presidi Slow Food sostengono le piccole produzioni tradizionali che rischiano di scomparire, valorizzano territori, recuperano antichi mestieri e tecniche di lavorazione, salvano dall’estinzione razze autoctone e varietà di ortaggi e frutta. Grazie ai presidi, oltre 400 Paesi coinvolgono più di 10.000 produttori.