Dopo l’imponente epopea storica in due capitoli Warriors of the Rainbow (2011), il taiwanese Te-Sheng Wei è per certi versi tornato alle origini con 52Hz, I Love You, coloratissimo musical che affronta il tema del vero amore dal punto di vista di chi ancora non l’ha conosciuto o non ha potuto coronare il suo sogno.
E’ il giorno di San Valentino e la fioraia Xin – Zhuang Juanying – si chiede se mai riuscirà a trovare il suo principe azzurro. Non dissimili sono i pensieri che affollano la mente del pasticcere Ang – Lin Zhong-yu –, mentre dall’altra parte della città Lei – Mify Chen – pensa che la sua relazione col fidanzato Da He – Suming Rupi – sia giunta ormai a un punto morto, ma grazie alla consueta sequela di imprevisti e alla magia della città ciascuno troverà quel che cerca.
Come si evince dal titolo, che allude alla frequenza emessa dalla cosiddetta “balena più sola del mondo” – incapace di farsi udire dai propri simili –, il canto rappresenta un antidoto alla solitudine e un mezzo per cercare un compagno sulla stessa lunghezza d’onda. Recuperando l’interesse per la musica dimostrato nel suo primo Cape No. 7 (2008) – tanto che ritroveremo la band musicale capeggiata dal cantante Van Fan nei panni del gruppo di Da He –, Wei realizza un’opera in cui, su 110 minuti di durata, più di 90 sono dedicati alle performance canore dei personaggi, che al di fuori del set sono non a caso cantanti di professione.Ma 52Hz, I Love You costituisce davvero, così come sostenuto da parte della critica, «la risposta taiwanese a La La Land»? Partendo dall’analisi della messa in scena, il lungometraggio di Wei presenta coreografie poco costruite, con diverse scene di folla con cui si tenta di riempire all’inverosimile l’inquadratura. In parole semplici, si canta ma non si balla.
Ancor più importante, a differenza dell’ultima fatica di Damien Chazelle 52Hz, I Love You non è cinematografico, né dal punto di vista tecnico né da quello narrativo. Se infatti La La Land costituisce un film nel vero senso del termine per l’uso che fa della regia, dotata di una sua autonomia nelle parti di danza come in quelle “a riposo”, Wei se ne serve in funzione meramente descrittiva, senza dare un’impronta personale alle sequenze. L’impianto di 52Hz, I Love You appare dunque posticciamente teatrale, con scenografie dai colori sgargianti e grafica computerizzata per le sequenze in esterni che producono un effetto agli antipodi rispetto alla magia della City of Stars, sospesa tra realtà e sogno e non sprofondata in una fantasia infantile – che rasenta il ridicolo nella sequenza barocca e surreale in cui Xin e Ang cavalcano una balena in uno scenario cartoonesco.
Bisogna comunque rendere atto a Wei di grande coraggio nella scelta di costruire un lungometraggio quasi esclusivamente su brani cantati. Tuttavia, per quanto siano in grado di trascinare lo spettatore col loro ritmo, questi non svolgono alcuna funzione diegetica, con un avanzamento elementare il cui esito – le coppie che, come era chiaro sin dall’inizio, si formano o riappacificano – è posticipato all’esasperazione, anche attraverso l’introduzione di qualche linea narrativa secondaria altrettanto inconsistente – la coppia di lesbiche, gli zii di Xin e Ang. L’idea di amore che propongono poi i pezzi, ridondanti nel loro contenuto, è stereotipata e stantia, e proprio in questa sostanza ideologica si mostra il divario tra 52Hz, I Love You e La La Land, a cui va ascritto il merito di aver demolito alcuni stereotipi portanti del musical – coincidenza di amore e felicità, lieto fine a tutto tondo, integrità del sogno che conduce alla fama – senza però riuscire iconoclasta: stereotipi in cui invece l’opera di Wei si riconosce appieno, come si desume dalla lunga sequenza citazionistica a Cantando sotto la pioggia (1952).
In conclusione, 52Hz, I Love You sembra non avere una vera storia da raccontare, anche se per gli appassionati del genere può essere una valida opzione di intrattenimento.