Vincenzo (Carlo Buccirosso), boss della camorra, stanco di una vita sempre “a rischio”, decide con la moglie (Claudia Gerini) di fingere la sua morte per lasciare una volta per tutte la malavita. Perché il piano funzioni, ogni dettaglio dell’operazione deve rimanere top secret. Quando – per caso – Fatima (Serena Rossi) riconosce un ancora vivo Vincenzo “o’ re do pesce”, il boss manda il fedele Ciro (Giampaolo Morelli) a sistemare la faccenda. Ma le cose non vanno come previsto e l’intera famiglia inizia a sfasciarsi dall’interno.
Quant’è bella Napoli, giocosamente riscoperta attraveso i suoi luoghi comuni, esorcizzata parodiando i suoi peggiori clichè e vista e vissuta, fino in fondo, con gli occhi dell’Ammore. E’ questa la via scelta dai Manetti bros. per raccontare ancora una volta la città partenopea con animo leggero e cuore pop, in un musical che vuole attraversare i generi e intrattenere con stile.
Ammore e malavita rispolvera la sceneggiata napoletana, ostenta la tradizione neomelodica, si prende gioco dell’ennesima riscoperta criminale della città imputabile a Gomorra e trasforma il tutto in un pastiche orgogliosamente sopra le righe. Mentre i generi si sovrappongono e si contaminano, le citazioni si sprecano e le performance canore si susseguono a intermittenza, ci si accorge pian piano però che non è tutt’oro quel che luccica, giusto per rimanere sugli stereotipi della contraffazione alle pendici del Vesuvio.
La soddisfazione di vedere un cinema italiano “diverso” dal solito rischia infatti di scemare quando la carica dirompente di un musical sull’ambiente malavitoso, di una parodia irriverente sui piaceri popolari napoletani, viene appiattita da piccole scorciatoie e studiati effetti. Ammore e malavita si accontenta troppo spesso – pur in un contesto abbastanza originale – della risata facile, dell’inquadratura a ammiccante e di una regia che sembrerebbe assecondare l’andamento naif della vicenda, se non finisse per risultare un po’ ruffiana.
La linea sottile che separa una divertente Napoli da soap opera – tra struggenti canzoni neomelodiche, gestualità esagerate, dialoghi ed espressioni iperboliche – dal racconto esile di un film tutta forma e poca sostanza, va evaporando man mano che la storia (anche questa giustamente stereotipata) cerca di nobilitarsi col passare dei minuti.
Ammore e malavita diventa così un film dai presupposti audaci, ma che non ha il coraggio di andare fino in fondo; un’operazione complessa vittima di soluzioni troppo comode e di un intreccio che nasce per essere parodiato, ma finisce per trovare spiegazioni – non necessarie – di ogni suo risvolto, in oltre due ore di svolgimento.
Una menzione speciale va però alle belle canzoni scritte dal cantautore napoletano Nelson e arrangiate da Pivio e Aldo de Scalzi, accompagnate da coreografie volutamente (si spera) in stile talent show curate da Luca Tommasini, e all’interpretazione merolana del grande Raiz, ex leader degli Almamegretta.