Imperniando come suo solito la pellicola sul lirismo delle piccole cose, in Amanda – presentato nella sezione Orizzonti – Mikhaël Hers si prende la responsabilità di metabolizzare il trauma dell’escalation terroristica in Francia eleggendo a simbolo del martirio europeo l’innocente per antonomasia, senza però arrischiarsi a dare una propria lettura della questione.
In una giornata come tante, mentre è di passaggio per il parco David – Vincent Lacoste – si ritrova davanti uno scenario infernale. In quel parco dove si recava spesso con amici e parenti dei terroristi si sono messi a sparare sulla folla, ferendo la fidanzata Léna – Stacy Martin – e privandolo della sorella maggiore Sandrine – Ophélia Kolb. Perduto ogni punto di riferimento, David dovrà farsi carico della tutela della nipotina Amanda – Isaure Multrier – senza lasciarsi vincere dalla disperazione.
Se come in Questo sentimento estivo (2015) ritroviamo il motivo del lutto improvviso con annesso tentativo di riedificazione del mondo degli affetti, questa volta Hers si confronta nei limiti della finzione – l’attentato al Parco Vincennes è fittizio – con un evento storico che ha lasciato il segno nella memoria collettiva del Vecchio Continente. Era scontato che la settima arte – e a maggior ragione il cinema d’oltralpe – si facesse carico, assieme alle altre, della rielaborazione di quello che è stato definito «l’11 settembre francese», ma Amanda ne è un primo esempio molto acerbo.
Scoraggiato in apertura dal ritratto della famiglia poco ortodossa ma felice, lo spettatore si risveglia dal torpore soltanto dopo il primo quarto, quando la soggettiva di David mette a fuoco per qualche istante i corpi sfigurati dai proiettili – che tanto valeva non mostrare, a questo punto. Sarebbe lecito pensare che, da qui in poi, le implicazioni di questa disgrazia costringano il ragazzo ad assumersi le sue responsabilità di adulto, ma ciò avviene solo in apparenza. Parigi e la realtà familiare di Amanda e David, anche se tragicamente segnate, continuano a brillare di quella luce misteriosa e rassicurante che Hers tanto ama irradiare, optando per una facile morale – ovvero che, nonostante tutto, la vita continua – e degli accorgimenti ancora più facili in termini di empatia. Come non commuoversi davanti agli occhioni azzurri rossi di pianto della piccola Amanda? Come non struggersi per la storia d’amore tra i bellissimi David e Léna interrotta anzitempo?
Nascondendosi dietro la tragicità dell’evento cui allude Amanda cerca di scoraggiare in partenza i possibili detrattori, ma è in realtà un film palliativo e mediocre nel senso etimologico del termine: resta continuamente sulla via mediana, senza cercare eccessive tensioni drammatiche ma nemmeno il realismo puro, segno di una scrittura che, a parte il riferimento all’attualità, sembra non aver molto da dire. Certo offre delle prospettive edificanti, ma non è questo che bisognerebbe fare nel momento in cui la contemporaneità diventa non solo sfondo, ma motore della storia che si vorrebbe raccontare.