Siamo italiani, francesi o inglesi e oggi siamo comunque europei, ma spesso ignoriamo le radici dolorose e laceranti sulle quali si fonda la cultura che ci accomuna. Talvolta l’indizio, il capo di un lunghissimo filo di avvenimenti celati e sepolti dai secoli, è una semplice, breve parola di uso abbastanza comune. In questo caso la parola è “bogre” (pron. bùgre), che dà il titolo a questo docufilm di Fredo Valla.
“Bogre” è un epiteto che, in quella parte di Italia nord occidentale che ancora conserva tracce della sua antica tradizione occitana, equivale a stupido, sciocco, inetto, o anche “colui che maschera la verità”. Ma l’equivalente francese “bougre” è ancora più insultante, significa “bastardo”, e il medesimo termine, passato all’inglese con la forma di “bugger” significa addirittura “sodomita”.
Ma che cosa significa, in origine “bogre”? Vogliamo svelarlo, certi di non spoilerare l’aspettativa dello spettatore: “bogre” significa semplicemente “bulgaro”. Ma perché? E come mai si è trasformato in un insulto? La risposta a questo perché costituisce il tema del documentario, condotto con profondità scientifica ma non senza anche un tocco di suspance, che permea tutta la lunga indagine (oltre tre ore), attraverso la storia vasta e antica di otto secoli di una eresia estirpata e dimenticata, eppure ancora affiorante come una pianta il cui raro seme continui a essere sparso dal vento.
Si tratta dell’eresia dei Bogomìli, diffusasi appunto dalla Bulgaria e giunta in Europa occidentale intorno all’anno mille con i Catari, in un Medioevo che non era certo fermo ma nel quale persone e idee erano in continuo movimento. L’eresia (ripresa da una corrente ancora precedente, risalente al primo giudeo-cristianesimo di Egitto, Palestina e Medio Oriente) si basava sull’esistenza di un Principio del Bene e di uno del Male e sul diritto/dovere di scegliere secondo coscienza (“eresia” viene dal greco hàiresis = scelta).
Princìpi, questi (tra gli altri, vi era quello di una certa parità tra uomo e donna) che diffondevano un’ideale di “civiltà gentile” (come la definisce Carlo Grande in “Quando i diversi si chiamavano Càtari”, La Stampa 21 marzo 2021) che andava di pari passo con la poesia trobadorica, che era di lingua d’Oc, base dell’italiano secondo Dante, anch’egli forse càtaro (tesi di Maria Soresina in “Libertà va cercando. Il catarismo nella Commedia di Dante – Moretti e Vitali; 2009) e comunque certamente càtaro era il caro amico Guido Cavalcanti.
Tuttavia tali idee scardinavano l’ordine costituito. “Dio riconoscerà i suoi”: così pare che avesse detto l’abate Amaury, durante l’indiscriminato massacro di Béziers, il 22 luglio 1209. Dunque forza delle armi contro cittadini pacifici e inermi: la storia che si ripete, come ricorda anche Simone Weil, citata nel film, così come sono citati i campi di sterminio, ai quali non si può non andare con la mente. Ai càtari pentiti era imposto di cucirsi sull’abito una croce gialla, che li faceva oggetto di insulti e di oltraggio: e noi che pensavamo “que notre siècle a tout inventé!”.
Ma oggi è anche il tempo della richiesta del perdono, come ha fatto il vescovo cattolico Monsignor Jean-Marc Eychenne, che il 16 ottobre 2016 ha riconosciuto la colpa della Chiesa per la strage di Montségur del 16 marzo 1244. Un evento remoto ma ancora talmente presente che tuttora l’area della carneficina è detta “Prat dels Cremats” (Prato dei bruciati).
Questa ricerca del passato, attraverso Bulgaria, Italia, Occitania, Bosnia, non è dunque solamente rievocare, è anche e soprattutto attualizzare, valorizzare differenze, spiritualità e culture lontane e vicine, aiutare il pensiero a essere critico.
“I perseguitati non hanno sempre ragione, ma i persecutori hanno sempre torto”, sono parole di Pierre Bayle (1647-1706), filosofo francese contemporaneo di Spinoza, perseguitato per la fede ugonotta. Parole poste a sigillo di questo intenso, interessante e prezioso lavoro.
Fredo Valla, nato nel 1948 a Sampeyre (CN), nel cuore dell’Occitania italiana, oltre che regista è documentarista e sceneggiatore. Si ricordano tra i molti suoi lavori, Il vento fa il suo giro scritto con Giorgio Diritti e finalista al David di Donatello 2008 e la sceneggiatura di Volevo nascondermi regia di Giorgio Diritti, che nel 2020 ha ottenuto sia il Nastro d’argento, sia l’Orso d’Argento al Festival di Berlino.
La lavorazione del film, iniziata nel 2016, ha visto la partecipazione degli ex allievi e collaboratori de “L’Aura”, la scuola di cinema che Valla ha fondato con Giorgio Diritti a Ostana, paese delle Alpi occitane sovrastato dal Monviso.
Dopo la prima mondiale proprio in Bulgaria, all’International Film Festival di Sofia il 21 marzo 2021, il doc è stato presentato in prima visione italiana l’8 maggio 2021 al Cinema Massimo di Torino.
Prossime visioni:
– 12 giugno, Cuneo, cinema Monviso;
– 18 giugno, Trieste, cinema Ariston;
– 3 e 4 luglio, Dronero (Cn), cinema Iris;
– 25 luglio, Grosseto, cinema Stella (Siloé Film Festival).
Per aggiornamenti su successive visioni: pagina FB #bogre
Lingue: italiano, francese, occitano, bulgaro, bosniaco. Distribuito da VIDEOPLUGGER Ltd.; durata 200 min.