Livermore per un finale da kolossal con l’Elisabetta del Teatro Massimo

Un dramma rossiniano ritrovato e trasportato nell’epica dell’immaginario cinematografico

Non v’è dubbio: ciò che Davide Livermore tocca, diventa un vero kolossal. La sua versione de Elisabetta, Regina d’Inghilterra (1815) di Gioacchino Rossini per la chiusura di stagione al Teatro Massimo di Palermo ne è la riprova. Soprattutto, è la testimonianza che per realizzare un kolossal all’opera non serve impiegare enormi risorse, masse sceniche o fuochi d’artificio. Il regista torinese dimostra come basti senso dello spettacolo: bisogna conoscere intimamente il compositore, respirare assieme alla partitura e dispiegare sul palcoscenico quello che la trama già suggerisce. Sembrerebbe facile a parole, ma nei fatti ci vuole la capacità di comprendere le pieghe più profonde del racconto scenico e musicale.

L’Elisabetta di Rossini, spettacolo scritto per la restaurazione borbonica a Napoli, contiene in sé i caratteri essenziali del dramma dinastico: eroismo e mascheramenti, fede incrollabile e amore non corrisposto, tradimenti e orgoglio, violenza e colpi di scena. Livermore sublima questi sentimenti traducendoli in un Regno Unito novecentesco in guerra, in cui Elisabetta viene accostata a quella del serial The Crown, mostrando al pubblico la potenza con cui le sorti di uomini e donne vengono agitate come canne al vento da umori atavici, qualunque sia l’epoca storica. Non sono dunque i costumi, la scenografia o i visual ad attualizzare l’opera, bensì il suo racconto stesso laddove venga presentato per ciò che ancora oggi – e forse per sempre – dice della nostra umanità e bestialità.

La leggera scenografia di Giò Forma, di soli contorni e cornicioni, conferisce trasparenza a una vicenda contorta, offrendo per di più aperture sconfinate verso i visual di D-Wok capaci di accecare lo sguardo con le tinte emotive suggerite dalla partitura. I costumi di Gianluca Falaschi, coadiuvato da Anna Verde, e le luci di Nicolas Bovey fanno il resto, trasformando con pochi e sapienti ingredienti il palcoscenico in uno spettacolo assoluto, in cui movimento e colori accrescono la sensazione di trovarsi dentro a un serratissimo montaggio cinematografico.

Bravissimo il primo cast che riesce a stare al passo sia delle vertiginose agilità della partitura rossiniana, sia dell’incalzante regia di Livermore. I due soprani Nino Machaidze (Elisabetta) e Salome Jicia (Matilda) fanno a gara d’abilità nel rincorrersi dalle note gravi agli acuti fugaci, così anche i due tenori Enea Scala (Leicester) e Ruzil Gatin (Norfolc) eccellono nei duetti. Sicura è la direzione di Antonino Fogliani nel fornire struttura agli slanci virtuosistici. Sempre all’altezza è anche il coro del Teatro Massimo nell’assecondare le scene di corte e di popolo della vicenda dinastica.

Non poteva esservi miglior chiusura di stagione per il Teatro Massimo, con un titolo difficile che mancava da decenni, portato alla ribalta grazie al senso assoluto di Livermore per lo spettacolo d’opera. Si chiude così anche una coproduzione felicissima tra il teatro palermitano e il Rossini Opera Festival, nella speranza che vi siano presto altri frutti preziosi di questa collaborazione.

Lo spettacolo va in scena in prima italiana dal 22 al 29 ottobre 2024.