Sul poeta Giacomo Leopardi sono state scritte molte biografie e tutte di grande interesse intellettuale, ma all’Apparir del Vero di Rolando Damiani ha una marcia in più. La quantità di notizie insolite che presenta e la passione messa nello scriverla, danno a questa biografia l’andamento di un romanzo, complice una prosa delicata e per nulla pesante nemmeno in quelle pagine tecniche alla disputa che opponeva i classicisti, come Leopardi, ai Romantici come Berchet o Manzoni.
Anche il taglio che viene dato allo studio non è il solito. Giacomo Leopardi non è presentato come viene dipinto solitamente da un approccio superficiale e legato ad alcuni pregiudizi che lo vogliono poeta della meditazione e della negatività isolato dal mondo e ostile verso l’intera umanità: Damiani descrive un giovane certamente sofferente e conscio dei propri disagi fisici, ma ben aperto a quel mondo che esiste al di fuori di Recanati.
La biografia smentisce infatti la lunga trafila di luoghi comuni che circolano sul poeta, a partire dal suo precocissimo genio poetico : il conte recanatese dimostrò fin da giovanissimo un grande amore per lo studio, ma la sua vocazione poetica arrivò ‘ tardi ‘, quasi adolescente, rispetto al precocità con cui sapeva leggere e scrivere in latino o greco. Le sue prime prove, infatti, dimostrano una gran duttilità nell’apprendere e ripetere uno stile o un genere, ma mancano di spirito proprio : è come se il giovanissimo Leopardi fosse un ottimo poeta tecnico, ma gli mancasse quello che la Grecia antica chiamava pathos, ovvero la forza di innovare un modello inserendoci del proprio.
Inoltre chi ha creduto che Leopardi fosse lontano del desiderio di gloria e che non gli interessasse scrivere per il grande pubblico si sbaglia, Leopardi, forse per una lettura molto approfondita del detto di Monti “La mia gloria è divenuta per me un idolo che esige qualunque sacrificio ” o per una segreta competizione con il padre Monaldo, anch’egli scrittore migliore di quanto fosse buon economo, ha sempre cercato la gloria fin dalle prime composizioni scritte appena adolescente.
E’ singolare vedere come Leopardi si formi e ottenga questa tanto agognata gloria prima con le sue composizioni in prosa che con i suoi Canti: infatti il giovane poeta si forma e si fa conoscere come filologo e traduttore dal greco e latino al pari di quel Angelo Mai a cui dedica un breve componimento poetico in occasione della scoperta di alcuni libri della Repubblica di Cicerone. Tuttavia Leopardi è anche un giovane che conosce, come tutti i ragazzi, le prime avvisaglie dell’incerto sentimento amoroso, ma che si scontrerà per tutta la vita con la grandissima capacità di amare donne nelle quali suscitèrà pietà o disprezzo per le sue deformità. Eppure non si lasciava abbattere e quando incontrava una donna, che sia la cugina Gertrude Cassi, Teresa Malvezzi, Fanny Targioni Tozzetti, o qualche altra donna da lui amata, era capace di amarla come una donna stilnovista, idealizzata e contemplata e celebrata eternamente nei suoi versi. Poco importa che la Malvezzi venga definita una puttana (non è da stupirsi: Leopardi spesso scadeva in un lessico non proprio poetico) e la Fanny venga paragonata alla celebre etera Aspasia, poco importa che Adelaide Maestri, l’unica giovane che lo amò per tutta la vita non riuscisse a dichiararsi, ma lo amasse in maniera platonica.
Damiani ricostruisce con grande attenzione le amicizie e gli incontri con gli altri intellettuali dell’epoca, come l’incontro con Manzoni avvenuto nel 1827, data di pubblicazione delle prima versione dei Promessi sposi, ma anche delle criticate Operette morali. Oppure l’amicizia con Giordani e Vieusseux che ha portato il conte recanatese a collaborare con le grandi riviste dell’Ottocento italiano.
Leopardi fu un intellettuale eccezionale, che risulta ancora più grande dopo la lettura di questo testo che lo presenta così straordinariamente umano.
Mondadori , pagg. 491