COLLOQUIO CON IL CRITICO FRANCESCO BOLZONI

Alla ricerca del senso religioso dei film della 63. Mostra Internazionale d'Arte Cinematografica di Venezia

Sorge spontanea la domanda se nei film proiettati nella 63. Mostra di Venezia ci sia una tematica religiosa o per lo meno accennata o presentata in chiara evidenza. Per cercare di dare una risposta a questo interrogativo, incontriamo al Lido Francesco Bolzoni, saggista e critico cinematografico di area cattolica, nonché inviato dal giornale della CEI, l’Avvenire.

Quali dei film in concorso rispecchiano una vena autentica di religiosità?

FB: Nei pochi film di un certo livello estetico e contenutistico vi scorgo una profonda solidarietà che è il cardine del messaggio evangelico: amatevi gli uni con gli altri. Nel mondo non siamo soli, dobbiamo ritrovare negli altri le stesse esigenze esistenziali che pretendiamo per noi stessi: intendere l’altro, cercare di capire l’altro.

Nel film di O. Stone sulla tragedia dell’11 settembre irrompe il divino con l’immagine di Gesù che promette la salvezza ai sepolti vivi. Poesia o retorica di pessimo gusto?

FB: Sono un grande ammiratore di Stone. Venendo però all’apparizione del Sacro Cuore in una scena del film, ritengo che il grande regista sia ricorso a un immaginario religioso vecchio stile, utile ma non sempre persuasivo. Occorrono altri messaggi religiosi in una società così smaliziata, razionale e indifferente come la nostra. Avrei preferito l’irruzione di un raggio di luce: più essenziale e simbolicamente più efficace.

Anche in un film applauditissimo nella sua violenza come Jackpae del coreano Rijo il culto degli antenati, l’omaggio al defunto è colorato di un alone mistico. C’è, secondo lei, un’ansia di divino sotterranea che emerge anche in situazioni più impensabili?

FB: Nel culto degli antenati si scorge l’esigenza della sopravvivenza. Vorrei a proposito spostare l’attenzione al film di Gianni Amelio La stella che non c’è, notevole lavoro di penetrazione psicologica. Qui il discorso sulla solidarietà è costante. Vi si nota la differenza tra gli abitanti della città (chiusi nella rincorsa del profitto) e quelli della campagna in cui palpita un cuore antico: il senso religioso del culto degli antenati, i profondi affetti famigliari, il rispetto della persona quasi sacrale: vedi il vecchio sfinito che porge la sedia al protagonista, vedi il barbiere che offre addirittura il proprio letto per l’ospite, vedi l’amore per i bimbi, qui il protagonista ritrova la paternità.

Nel Nuovomondo di Emanuele Crialese si assiste alla scena iniziale dei due pastori che compiono la loro salita votiva verso la croce con un sasso in bocca. Si delinea una religione autentica o un fatalismo paganeggiante?

FB: Il film di Crialese è molto importante sia dal punto cinematografico sia umano. Vi si focalizza il dramma degli emigranti che vivono in un mondo difficilissimo. Cercano di dare vita al loro sogno tra disagi inumani. Qui si sogna l’America del latte e del miele. Il regista ricorre a immagini simbolicamente vibranti: lui, ad esempio semisepolto in una pioggia di dollari, il mare in cui si nuota fatto di latte e di luce. Un film profondamente religioso. Il pellegrinaggio votivo, come lo chiamate voi, è il simbolo del sacrificio. Il loro pellegrinaggio è un modo di liberarsi la coscienza, pellegrinaggio come purificazione.

L’etica coranica nel film del chadese Saleh Haroun Daratt sembra combaciare con quella evangelica, non le pare?

FB: Daratt è un film girato bene, molto interessante. Fa un discorso contro l’islamismo fanatizzante. Propone un islamismo conciliante. Il giovane mussulmano protagonista si comporta come un cristiano: perdona al proprio nemico uccisore di suo padre. Lo stesso nemico, ormai anziano, si pente dei suoi misfatti, ritorna a frequentare la moschea e distribuisce il pane appena sfornato da lui ai bambini, quale atto di chiaro riferimento eucaristico.

La figura si Charlotte nell’opera del grande Resnais Coeurs – Private Fears in Public Places è sconcertante dal punto di vista religioso. Si tratta di una parodia al senso religioso o un approccio più articolato del singolo verso i valori religiosi?

FB: Resnais è un grande artista. Qui ha fatto un film sulla solitudine di uomini e donne. Soli all’inizio e soli alla fine. Non a caso tutto si svolge tra il gelo della neve. Tutti i suoi personaggi cercano invano un rapporto con gli altri e questo li fa soffrire. Charlotte non è da prendere in senso realistico. Anche lei è scissa: aderisce pienamente al Vangelo, ma è anche consapevole di vivere nell’eterno pericolo della tentazione. Perciò imposta la sua missione nel dare piacere agli altri somministrando il proibito e il sacro, per avviare il prossimo alla riflessione religiosa.


Come giudica questo festival?

FB: I film interessanti sono pochi. Fossi stato nella commissione non avrei accettato una serie di film così brutti. Oggi come oggi non si possono trovare sulla piazza 22 film tutti interessanti. La mia proposta è quella di ritornare alle origini quando si proiettava un film al giorno. Si aggiunga una buona informativa e una bella retrospettiva.
Aggiungo anche che si trovano sui giornali rarissime stroncature. Non si è limpidi nei giudizi… Sono preoccupato per i giovani. Essi applaudono a tutto. A loro tutto va bene senza porsi una profonda meditazione sull’agire umano.


Come concilia l’esigenza morale con quella estetica in un lavoro cinematografico?

FB: E’ una vita che ci penso. La mia conclusione è questa: un film bello è sempre morale. Un film immorale può essere interessante ma non bello. Posso aver torto, ma questo è il frutto della mia meditazione che pongo sempre al dialogo con gli amici cosidetti laici.