Orizzonti
Barney-Bjork sprofondano in acque profonde nella finzione cinematografica ma riemergono al Lido per presentare “Drawing Restraint 9”, opera dal forte impatto visivo presente nella sezione Orizzonti.
Appena entrano all’interno della sala delle conferenze stampa, non si può pensare che siano solo una coppia lavorativa. Bjork e Matthew Barney fanno coppia anche nella vita. Questo si sa ma lo si può, nel caso contrario, dedurre. Non tanto da elementi di superficie legati al momento quanto dalla sottile attenzione della cantante islandese a non invadere con qualche parola o gesto di troppo il territorio professionale e umano di Barney stesso. La singolare bellezza di entrambi viene esaltata con differenti modalità. Lei, con la classica pettinatura-cornucopie, si presenta con un vestito color pesca che esalta un medaglione dalla forma poco definita. Lui con un completo grigio accresce i suoi lati ibridi e drammaticamente definibili.
I due artisti sono presenti alla sessantaduesima edizione del Festival di Venezia per presentare Drawing Restraint 9 nella sezione Orizzonti. Barney ha ideato e diretto il progetto, Bjork ha curato la colonna sonora. La musica si fonde magicamente con le immagini al punto da colmare molto bene la quasi totale assenza di dialoghi. Entrambi concordano nel dire che la collaborazione al progetto Drawing Restraint 9 è avvenuta a quattro mani ed è stato tutto estremamente “naturale”. Nulla di pianificato. Tutto è germogliato da solo dopo una felice semina. E pensare che quando Bjork incontrò, per la prima volta, quello che sarebbe divenuto il suo futuro compagno, escluse in maniera categorica di lavorarci assieme. Nonostante una corrente sotterranea li abbia, forse, sempre uniti. Una giornalista, ad un certo punto, maliziosamente vuole spingere il folletto color pesca a riconoscere una sorta di complicità diretta nel lavoro del compagno artista. Lei nega senza alcuna esitazione. « Se magari c’è stato un condizionamento – dice Bjork – non è stato voluto ».
Al centro del lavoro proposto da Barney c’è la creatività. « Quest’ultima – dice l’ex atleta-modello – non può esistere senza resistenza esattamente come un muscolo che per svilupparsi necessita di un lavoro di forze contrarie. La creatività, in maniera indissolubile, ha bisogno di una morte rigenerativa. Una morte non letterale. Una rinascita difficile da sviluppare quasi quanto quella che viviamo quotidianamente per creare qualcosa. Non ce ne rendiamo conto fino in fondo. Totale – continua lui – la fusione tra musica ed effetto visivo. Tra creatività e impatto scenico ». E’ Barney a puntualizzare come nel lungometraggio da lui girato avvenga la trasformazione di due esseri in altro. Egli stesso dichiara a proposito della propria arte: « Non ho fatto altro che reinterpretare a modo mio il processo vitale che, in ognuno di noi, porta necessariamente una trasformazione. Racconto il modo in cui una forma combatte per trovare una propria definizione ».
Quando i due si trovano (sollecitati da una domanda) a descrivere i propri gusti cinematografici, Barney sottolinea una preferenza verso i film horror degli anni ’70 e ’80 mentre Bjork risponde dicendo che è ossessionata da qualsiasi cosa legata alle emozioni definite come delle lenti attraverso cui vede la vita in maniera chiara. Classici della storia del cinema, Antonioni, Malle, film giapponesi degli anni’60 rientrano nella sua lista. La conferenza si conclude con un quesito alquanto interessante legato alla poca visibilità di Barney a livello cinematografico. Il fatto che le sue opere non abbiano una larga distribuzione portano (a detta di Barney stesso) in uno stato di limbo. Da un lato ha la piena libertà di sviluppare idee e progetti, dall’altro rischia, come un bambino, di fare giravolte continue rimanendo sempre nello stesso punto. Senza mai spostarsi.