ROMA – Sergio Castellitto in conferenza stampa racconta come il passaggio dal romanzo al film sia avvenuto basandosi su un’immagine fondamentale, l’immagine di una assenza, in realtà: “l’assenza di futuro” che contagiava chiunque gettasse uno sguardo verso Sarajevo. Nei suoi primi sopralluoghi il regista ha infatti cominciato ad intuirla come un luogo fuori dal mondo, una sorta di oltretomba terreno in cui “carnefici e vittime camminano sulle stesse strade in tempo di pace e si incontrano senza riconoscersi l’un l’altro”. Un’immagine concreta che ha permesso a Castellitto di crearsi la propria prospettiva interiore sul romanzo: sullo sfondo di questa assenza e di questo luogo assurdo, come una redenzione che emerga per contrasto, il regista ha compreso come una storia che racconti tutto l’opposto sia un grido di ribellione. Castellitto vuole ricordare come Venuto al mondo sia “una storia d’amore” e come in particolare “una frase del romanzo mi ha accompagnato durante tutte le riprese del film: la vita è un buco che s’infila in un altro buco e stranamente lo riempie”: l’intreccio di temi e immagini sembra nascere tutto da qui, cercando in qualche modo di colmare il solco lasciato dalla guerra con il solco aperto da una storia d’amore, volendo realizzare l’impossibilità di due buchi che si riempiano l’un l’altro.
Castellitto parla per questo di Venuto al mondo come di un film “ambizioso”: “questo film vuole arrivare al pubblico nel modo più diretto ed essenziale. Questa è una responsabilità di cui il cinema dovrebbe sempre caricarsi per raccontare i fondamentali archetipi dei sentimenti umani e questo film cerca di farlo toccando l’amicizia, la morte, l’amore, la violenza, la ribellione e la memoria.”
Si tratta di un film fondato sull’emozione e che parla dell’emozione per trasmetterla allo spettatore: “ho cercato di esporre la verità mettendo in scena qualcosa che mi emozionasse. Credo che l’emozione sia la parte più intelligente, luminosa e rischiosa di ognuno di noi. Ho voluto fare un cinema che passasse attraverso una fortissima teatralità, qualcosa che attraverso l’immagine riportasse la verità storica, al modo in cui riesce il cinegiornalismo contemporaneo con i reportage dalla Siria o con l’uccisione di Gheddafi. Per questo – continua Castellitto – ho cercato di eliminare qualsiasi scena di passaggio in modo che ogni immagine fosse depositaria di un avvenimento interiore dei personaggi, fosse la nascita, la morte, il colpo di fulmine, la scoperta della guerra, del sangue e di tutta l’animalità umana.”
È in questo modo che il regista cerca di raggiungere lo spettatore: “colpire in faccia il pubblico con la brutale realtà dell’istinto umano, in modo che lo spettatore guardi il film e porti via con sé qualcosa che riguarda la propria vita. E siccome nessuno che vedrà il film ha partecipato all’assedio di Sarajevo – aggiunge Castellitto – dovrà portare con sé una prospettiva interiore del mondo e di se stesso in relazione ad esso.
Secondo Castellitto, Penelope Cruz è l’attrice fondamentale per riuscire a mettere in scena la l’intensità voscerale dell’emozione: “la carnalità di Penelope, la sua fertilità espressiva e fisica, hanno permeato il film contagiando tutti gli attori e tutta la troupe. Lei si è comportata sul set da attrice e non da star, mettendo a proprio agio chiunque le fosse accanto, cosa non facile quando si è davanti a un’attrice come Penelope Cruz.”
Lei raccoglie i complimenti con eleganza e spiega l’umiltà che imprime nella propria recitazione: “non mi chiedo se sono simile al personaggio o cosa avrei fatto io se fossi stata in lei, ma cerco di capire al cento per cento la sua psicologia, cosa la spinge a comportarsi in un determinato modo, perchè la recitazione non sta nel condividere, ma nel comprendere psicologicamente. Tutta la personalità del mio personaggio – sottolinea Penelope Cruz – sta nella frase che dice allo psicologo parlando della propria maternità e dell’impossibilità a raggiungerla, “voglio un lucchetto di carne”: il suo non è il desiderio comune alla maggior parte delle donne, ma qualcosa che nasce dal dolore e dall’amore, un’emozione, una passione al limite del carnale.”
Al suo fianco si muove in un ruolo complesso l’attore bosniaco Adnan Haskovic, interprete del poeta Gojka, che si accoda alle lodi tessute all’attrice spagnola: “La fortuna della mia recitazione è stata Penelope: di fronte a lei sulla scena non è più necessario recitare, basta semplicemente reagire. Per questa sua immensa bravura è stato un privilegio lavorare con lei, lo avrei fatto anche gratis.” La sua origine non può naturalmente esimerlo da un riferimento alla guerra che emerge dallo sfondo del film: “Sono troppo giovane per averla vissuta sulla mia pelle, ma porto con me i ricordi raccontati dai miei genitori e devo dire che questi sono davvero molto vicini alla verità raccontata dal film. Questo è forse il primo film che riporta qualcosa di grandioso riguardo la guerra nei Balcani: i cittadini di Sarajevo non sono rappresentati come vittime che subiscono passivamente la violenza dell’assedio, ma come uomini che lottano e si ribellano per la propria libertà.”
Gli fa eco Saadet Askoy, che nel film veste i panni di Aka: “Questa è una storia di finzione, ma creata all’interno della Storia universale, della guerra dei Balcani e all’interno di essa di storie simili, sommerse dalla tragedia, ce ne saranno state molte. Questo mi ha caricata di una responsabilità particolare durante la recitazione:solitamente un attore recita il ruolo di un personaggio inventato e per questo è facile per lui tornare alla propria vita quando smette di lavorare, ma l’idea che questa storia sia potuta accadere mi impediva di tornare alla mia vita, senza lasciarmi mai.” Poi l’attrice turca aggiunge: “È vero come dice Sergio che Sarajevo era una città dove non c’era futuro e questo ha rinforzato ancor di più la mia immedesimazione: come me i personaggi hanno dei sogni, delle ambizioni che nel momento in cui esplode il conflitto devono essere messi da parte, così che l’individualismo cede a qualcosa di immensamente più grande.”
Sergio Castellitto, dopo aver ringraziato con il cuore l’autrice del romanzo sua moglie Margaret Mazzantini, conclude con una dedica a tutte le donne, ricordando che la violenza che queste subiscono quotidianamente anche nel nostro paese trasmette loro una forza incredibile, quella di saper reagire e di riuscire a ricominciare ogni cosa da capo: “Questo è un film di omaggio e di rispetto per le donne: le donne di Sarajevo hanno ricostruito la pace. E tra le molte cose questo film vuole riportare la testimonianza di questa ricostruzione e del loro grandioso coraggio.”
Nella foto Sergio Castellitto e Margaret Mazzantini
Foto a cura di Romina Greggio Copyright © NonSoloCinema.com – Romina Greggio