Un monologo intriso d’ironia che racconta la triste mediocrità della vita occidentale, prendendo spunto a piene mani dai temi affrontati dal miglior scrittore britannico degli ultimi tempi, J.G. Ballard.
Riprende la stagione del Teatro di Cà Foscari con lo spettacolo di Nino Dattis, Dio Ballard. Un monologo interessante ma che, sotto alcuni aspetti, non convince del tutto; non convince per dei motivi difficili da spiegare ma che si potrebbero riassumere in un unico termine: passione. O meglio, mancanza della stessa.
È notte, o almeno così si presume, e sfreccia per il palco il protagonista, il signor Travel (che significa “viaggio”) su quella che s’immagina essere una macchina. Improvvisamente, un incidente. Auto distrutta fuori strada e uomo abbandonato a se stesso, in una discarica. Forse è morto? No, non è così. Un cellulare squilla e una voce di donna lo informa che era diretto da lei, una sua amante, e che deve stare attento, perché le strade sono molto scivolose a causa della pioggia. Ecco spiegato il botto, e la confusione mentale presto si dissipa.
Ma non c’è fretta di ritornare al modo reale. Piuttosto il signor Travel preferisce riordinare la discarica, crearsi dei piccoli angoli che ricordino la sicurezza di casa propria: un letto, con tanto di lampada di recupero su uno scatolone che funge da comodino; un soggiorno in cui la poltrona è un sedile della macchina e il tavolino è formato da un copertone. E, in mezzo a questa discarica, finalmente solo, inizia un’analisi ironica e, a tratti, malinconica della vita occidentale. Uno sguardo impietoso sulle miserie e sugli squallori del quotidiano, sulle relazioni interpersonali, sulla propria carriera e sul Dio di questi tempi, che non è Ballard, bensì il denaro.
Non è triste, il signor Travel, e la sua analisi non porta alla depressione che ci si aspetterebbe da simili riflessioni: non è triste perché il disincanto di fondo non lo porta ad essere del tutto un cinico. Non è triste perché sembra che, tutto sommato, riesca ancora a trovare dei motivi per i quali vale la pena viverla, questa vita. Ma per adesso non ha fretta di tornarci e preferisce restare lì, nella discarica, con una bottiglia di vino aperta chissà quando e le sue sigarette, a riflettere.
Il soggetto è interessante e la performance di Stefano Skalkotos è ottima: diverte, appassiona, affascina. Ma forse, a volte, l’ironia prende il sopravvento sulla drammaticità, togliendo spessore a un testo che invece ne avrebbe in abbondanza. E forse i cinquanta minuti di durata sono troppo pochi perché si riesca a sviluppare appieno un soggetto del genere, che tocca temi universali e ci coinvolge tutti. Il risultato principale della brevità dello spettacolo è che si percepisce la distanza tra l’attore e il personaggio; quasi che, per riuscire a dire tutto quello che deve, si affrettasse in punti di riflessione che invece richiederebbero più tempo. In questo senso sembra che manchi la passione, che il protagonista sia distaccato rispetto a ciò che sta dicendo; ma forse l’effetto è voluto: guardare la vita come se non la si stesse vivendo, con il realismo di qualcuno che non è toccato dalle sue miserie, o dalle sue gioie. Guardarla senza illusioni, senza travestimenti, e nonostante questo riuscire ad affrontarla.
Dio Ballard di Nino Dattis
Regia di Pierpaolo Comini
Con Stefano Skalkotos
Durata 50 minuti
Musiche dei Tobia Lamare; “Carousel” è dei Gambling Hearts
Teatro di Cà Foscari
www.unive.it/teatrodicafoscari