Maria Paiato interpreta Erodiade, personaggio biblico spesso messo in ombra dalla sensualità della figlia Salomè. La compagna di Erode Antipa racconta, in un monologo allucinato e folle, il suo amore per Giovanni Battista e l’incomprensione davanti alla sua scelta di morire martirizzato piuttosto che cedere alle sue profferte amorose.
Erodiade come vittima, non più come carnefice: così la presenta il testo di Giovanni Testori del 1968 rappresentato al Teatro Goldoni. Erodiade è un personaggio di cui spesso ci si dimentica, troppo presi a disprezzare (o segretamente ammirare) Salomè, sua figlia. È lei, infatti, la vera protagonista dei testi biblici da cui l’episodio è tratto; è lei che, danzando, seduce Erode ed è lei a richiedere la testa del Battista su un vassoio d’argento, come premio per un’esibizione che in realtà sottende un accordo più laido: il passaggio di testimone da madre a figlia nel letto di Erode.
In questo monologo, invece, l’unica protagonista è Erodiade, che conversa con la testa di Iokanaan, abbandonata per terra dopo che ha svolto il suo ruolo di merce di scambio. È Erodiade che racconta, con follia e lucidità assieme, dell’inizio della sua passione per Giovanni, quando più ancora che l’aspetto fisico fu la sua voce a colpirla, e a conquistarla. Una voce che parlava le parole di un Dio incomprensibile, di un Dio crudele e accusatore, di un Dio che fa preferire la morte piuttosto che cedere a un amore disperato.
È dopo l’ennesimo rifiuto del Battista che in Erodiade l’odio prende il sopravvento: odio per Iokanaan, che qui è una figura fredda e senza compassione; odio per Salomè, sua figlia, più giovane e più bella che sta attirando da tempo gli sguardi di Erode. E mette in pratica il piano con cui ottiene la testa di Giovanni – che finalmente non può più sfuggire i suoi baci – e al contempo corrompe definitivamente Salomè, che lo stesso Giovanni le aveva chiesto di preservare dal vizio. Una doppia vendetta, quindi. Che le si rivolta contro: il primo gesto di Salomè come concubina di Erode, infatti, è la richiesta di allontanare la madre da palazzo. E se ciò non fosse possibile, di ucciderla. Questo Erodiade lo sa: lo sa perché li ha spiati durante un amplesso, lo sa perché sa che la figlia non aveva bisogno del suo aiuto per intraprendere la strada della perdizione e della perversione. Ma non saranno loro a decidere quando morirà, la scelta sarà sua e di nessun altro: con un pugnale che le arriva da una mano esterna (quella dello scrittore) pone fine alla sua triste vita.
Maria Paiato interpreta un’Erodiade forse eccessiva nella sua insanità e confusione: il pathos è sempre al picco massimo, dall’entrata in scena fino alla conclusione. I movimenti sono agitati, spigolosi, e raggiungono un estremo quando diventano vere e proprie convulsioni mentre suona un pezzo techno (che stona bruscamente col tenore dell’opera).
Se in alcune scene l’eccessiva recitazione può infastidire, ce ne sono altre che danno valore al dramma: quelle in cui Erodiade non è più la regina scornata e attratta carnalmente da un Santo, ma una donna. Innamorata. Per la prima e unica volta. E che si comporta nell’unico modo che conosce: «Perché io ti ho amato così com’ero. Così come sapevo».
“ERODIADE” DI GIOVANNI TESTORI
Regia di Pierpaolo Sepe – Musiche di Francesco Forni
Con Maria Paiato
Durata 1 ora circa
Venezia Teatro Goldoni
www.teatrostabiledelveneto.it