“FINALE DI PARTITA” DI SAMUEL BECKETT

Il doloroso destino dell’uomo contemporaneo

Con “Finale di partita”, in scena a Milano al teatro Out Off dal 3 al 29 maggio, ancora una volta Beckett presenta un lavoro in cui le coordinate spazio-temporali sono prive di riferimenti realistici, con personaggi costretti ad un’immobilità fisica che rappresenta metaforicamente l’incapacità dell’uomo di sottrarsi al proprio triste destino.

Lorenzo Loris ha voluto riprendere lo spettacolo che l’anno scorso ha fatto vincere all’attore Paolo Pierobon il Premio Nazionale della Critica, nel contesto di un originale percorso registico sulla drammaturgia contemporanea e del ‘900 da lui svolto in questi anni sempre all’Out Off.

Hamm e Clov vivono in uno spazio chiuso e buio privo di riferimenti temporali. Hamm è cieco e costretto su una sedia a rotelle, mentre Clov è costretto a rimanere in piedi per sempre e a prendersi cura di lui. In questo luogo ci sono anche due bidoni dell’immondizia dove vivono Nagg e Nell, i genitori di Hamm, che hanno perso le gambe in un incidente stradale mentre pedalavano su un tandem. Alle pareti ci sono due piccole finestre, raggiungibili soltanto tramite una scala, da cui si vede il Mondo, da una parte la Terra e dall’altra il Mare. Mentre i due vecchi genitori appaiono di tanto in tanto reclamando da mangiare e abbandonandosi ai ricordi di quand’erano felici, tra Hamm e Clov è un continuo scambio di battute basate sulla reciproca dipendenza l’uno dell’altro: Hamm ha bisogno di Clov per avere le sue pillole e per essere spostato; Clov ha bisogno di Hamm per dare un senso alla sua esistenza apparentemente priva di significato. I due protagonisti sembrano destinati a tale perpetua dipendenza fino a quando Clov non vede un bambino fuori da una delle finestrelle, fino a quando non inizia ad osservare la Vita. Hamm si copre allora il volto con un fazzoletto e rimane seduto sulla sua sedia a rotelle, in una continua e infinta attesa.

L’immobilismo dei personaggi è una delle caratteristiche principali del teatro di Beckett, da “Aspettando Godot” a “Giorni felici”: l’uomo è condannato alla solitudine ed è impossibile per lui trovare in sé le energie per sfuggire al nulla nel quale va sempre più sprofondando. Anche il linguaggio utilizzato ben rappresenta questa metaforica concezione dell’esistenza umana, un linguaggio sterile, apparentemente privo di significazioni logiche e assolutamente incomunicante, che diventa un dialogo-monologo, un dialogo attraverso cui i protagonisti parlano a se stessi più che agli altri personaggi in scena.

Il luogo in cui vivono Hamm e Clov non è un luogo terreno, è quasi una dimensione infernale dove tutto sembra morto; tuttavia i protagonisti possiedono una sorta di vitalità che si forma proprio attraverso un qualsiasi dialogo: si è in due e un dialogo c’è, in grado comunque di far partire l’azione. “A che servo?” chiede Clov. “A darmi la battuta”, risponde Hamm. È la parola, per quanto sterile, a mettere automaticamente in funzione il meccanismo dell’animo umano: dalla parola al sentimento, dal sentimento alla speranza. Che Beckett fuga impietosamente, caratterizzando però l’infelicità di quella stessa comicità di cui è fatta la vita. Perché, come egli ci insegna, “non c’è niente di più comico dell’infelicità”.

Regia Lorenzo Loris; Con Paolo Pierobon (Hamm), Alessandro Genovesi (Clov), Giorgio Minteci (Nagg), Elena Arcuri (Nell); Scena di Daniela Gardinazzi; Costumi di Nicoletta Ceccolini; Consulenza musicale Andrea Mormina; Luci e fonica Luca Siola, Maria Pastore; Foto di scena Barbara Balestra; In scena al teatro Out Off, via Mac Mahon 16, Milano; www.teatrooutoff.it