La critica divisa tra qualità artistica e impegno politico
Si è scritto molto su Fahrenheit 9/11. Da mesi se ne attende l’uscita qui in Italia. Più d’uno ha detto la propria invocandolo come una necessità o deprecandolo come una controproducente invettiva. Finalmente è arrivato nelle nostre sale e il pubblico e la critica sembrano dividersi molto più di quanto ci si attendesse.
La guerra in Iraq non monopolizza più telegiornali e quotidiani e forse qualcuno s’è ormai assuefatto (?!) a sentire notizie di morte. La corrente europea anti-Bush resta convinta della palese dabbenaggine e malafede del Presidente degli Stati Uniti, ma pare quasi stanca di sentirselo ripetere.
Quasi fosse scontata la sua non-rielezione. Come se fosse già una pratica archiviata e lo stato d’allarme potesse semplicemente tornare al livello azzurro.
E’ davvero così? O forse siamo ancora un po’ vittime degli atavici vizietti eurocentrici, di quella fantomatica superiorità intellettuale del Vecchio Continente? D’accordo, il film di Moore mette molta carne al fuoco e non sempre riesce ad evitare superficialità e confusione, scadendo persino in qualcosa di simile al populismo nella seconda metà.
Ma forse non teniamo conto del principale pubblico a cui era rivolto Fahrenheit 9/11. Sono quegli americani che vivono di televisione, che non vanno a votare (o che, quando lo fanno, danno più voti ad un morto che all’altro candidato); a quelli che pensano che votare democratico o repubblicano alla fine sia la stessa cosa, a quelli che vedevano in un “Presidente di guerra” il nume tutelare delle proprie libertà ed il principale fautore della lotta al terrorismo e che invece si sono trovati nel mezzo di una guerra inutile ed immotivata. Insomma, a quelli che possono far perdere George W., a novembre.
E per rivolgersi a questo pubblico Michael Moore utilizza il linguaggio a cui sono abituati la stragrande maggioranza degli americani: il linguaggio delle immagini. Colpiscono più le espressioni scimmiesche del presidente o i cadaveri e le mutilazioni dei bambini iracheni o le lacrime della madre di un marine che ha perso il figlio in Iraq, che gli investimenti sauditi nella Carlyle o delle speculazioni dell’Halliburton.
Forse qualcuno in Europa (nonostante la Palma d’Oro a Cannes) si aspetterebbe qualcosa di più specifico, ordinato, razionale e meno grottesco da un pamphlet così agguerrito, ma in fin dei conti il messaggio arriva, e lo scopo di Moore è raggiunto.
Titolo originale: Fahrenheit 9/11
Nazione: U.S.A.
Anno: 2004
Genere: Documentario
Durata: 110′
Regia: Michael Moore
Sito ufficiale: www.fahrenheit911.com
Cast: Michael Moore
Produzione: Michael Moore
Distribuzione: Bim
Data di uscita: Cannes 2004 –
27 Agosto 2004