MILANO – I Deproducers eseguono musica per conferenze spaziali: idea, allo stesso tempo, suggestiva e potenzialmente difficile.
Vedendo un concerto dei Deproducers si può pensare che Il cielo in una stanza di Gino Paoli sia una preveggenza. Mi spiego meglio.
Quattro produttori (più un batterista) che creano un tappeto sonoro, sul quale uno scienziato, amante delle stelle, interpreta le veci di una rockstar.
L’idea è nata da Vittorio Cosma (PFM, E.e L.S.T., e un’infinità di collaborazioni) che ha chiamato amici quali Gianni Maroccolo (Litfiba, CCCP, CSI, Marlene Kuntz), Max Casacci (Subsonica, Africa Unite e il 50% della scena torinese) e Riccardo Sinigallia (Tiromancino, Nicolò Fabi, Luca Carboni) per la composizione delle musiche, e lasciando la parte testuale sull’astrofisica a Fabio Peri, direttore del Planetario di Milano.
E proprio al Teatro Dal Verme di Milano, l’1 febbraio, si è visto in opera questo singolare progetto.
Appena venti minuti prima dell’inizio del concerto (parliamo di “concerto” poiché dire “sono stato ad una conferenza scientifica” fa troppo nerd; in realtà si tratta di un ibrido di entrambe le cose) la biglietteria è in pieno caos. Una coda dalle forme equivoche, prima “a ferro di cavallo”, poi “a serpentina” per (s)finire nella classica e tanto amata forma “a imbuto”, occupa per intero l’atrio del teatro, ammassandosi, nel tentativo di prendere il proprio biglietto (già pagato), verso il bancone della biglietteria. Scena che non dà onore al personale di un teatro di tale livello. E portata.
Il teatro è davvero affollatissimo. Gente di tutte le età: nonni, bambini, ventenni e famiglie; il concerto inizia alle nove e mezza. Circa.
La musica dei Deproducers esce dagli schemi classici. Si riconoscono, tuttavia, le influenze di Brian Eno, Kraftwerk, a volte Led Zeppelin (quelli di No Quarter) e persino Subsonica, sia per la scelta dei suoni, sia per l’attenzione al tema del rapporto tra uomo-tecnologia-spazio che lo circonda. La musica, fondamentalmente, è frutto d’improvvisazione e rielaborazioni di musicisti di talento: zeppi d’esperienze personali differenti, ma con un’anima coesa e ben precisa.
Gran parte del fascino del progetto è la voce narrante di Peri, che racconta, in modo semplice (non sempre) e persuasivo, storie astronomiche con dati rigorosi alla mano ma divulgative nei contenuti, attirando sorprendentemente verso di sé le simpatie di quelli che preferirebbero sfondare un muro di cemento armato a suon di pugni piuttosto di assistere ad un’ora scolastica di scienze. La voce è presente a tratti, equilibrata: non prende il sopravvento e non si fa mettere in secondo piano. I concetti (come l’orizzonte degli eventi) vengono esplicati in una maniera che rende più umana, e umanamente concepibile, la rigorosità scientifica.
Anche la scenografia, composta di tre pannelli bianchi (uno dei quali si inghiotte letteralmente i cinque musicisti) dà il suo forte contributo alla buona riuscita dello spettacolo. Dopo aver assistito alla breve spiegazione scientifica, infatti, vengono proiettate sui pannelli alcune immagini spaziali che staccano letteralmente la testa dello spettatore dal contesto teatrale, per gettarla tra costellazioni e pianeti.
Il concerto dura un’ora e mezza. Durata perfetta per un evento di tale peso. Superati quei dieci minuti (a metà spettacolo) durante i quali si rischia di prender sonno, il resto è tutto in discesa.
I Deproducers “danno vita” a un’ottima iniziativa, che lega il sapere al divertimento, i bambini agli anziani, la curiosità all’ignoranza. E una cosa è chiara fin dal principio: la scuola, com’è concepita nei banchi di scuola, di fronte a tali proposte, viene umiliata.
Per vedere il video di promozione, [cliccate qui-> http://www.youtube.com/watch?v=HaNWIpAQtC4].
Approfittiamo dello spazio mediatico per dedicare un saluto a quel trentenne insensibile che per tutta la durata del concerto, eccezion’ fatta per i primi quindici minuti, ha preferito giocare a Texas Hold’em con il suo stramaledettissimo smartphone.