I brani di Kurtág, Murail, Fedele e Gardella alla Palazzina Liberty

Stasera alla Palazzina Liberty il concerto di Maria Grazia Bellocchio, pianista del Divertimento Ensemble. In programma una selezione di brani dagli Játékok di György Kurtág, La Mandragore (1993) di Tristan Murail e due brani di compositori italiani: “di rami e radici” (2009) di Federico Gardella e Due notturni con figura, per pianoforte ed elettronica (2007), di Ivan Fedele. La realizzazione della parte elettronica è affidata a Marco Ligabue e Simone Conforti. Il concerto è preceduto da un incontro con i due compositori, alle 20.30.

Durante l’incontro, Ivan Fedele, 56 anni e Federico Gardella, 30 anni parlano del loro rapporto con il tempo, non solo in termini musicali: Fedele rivela che tutta la sua ultima produzione – i suoi dieci o dodici brani più recenti – è, da un punto di vista formale, caratterizzata da una dilatazione dei materiali, contrapposta alla loro estrema economia; Gardella invece ci anticipa che il suo lavoro si basa su una cellula costituita da un accordo e una nota ribattuta, elementi trattati e rielaborati in velocità. Entrambi mostrano di ritenere centrale il rapporto con lo spazio di fruizione, quindi Fedele accenna qualcosa sui procedimenti elettronici implicati nei Due notturni (pitch transposing, sintesi granulare, ritardi, time-stretching e così via) mentre, nell’ultima parte dell’incontro, il discorso si sposta verso i più rassicuranti lidi della didattica musicale e dell’imprescindibile impegno verso i giovani e la loro valorizzazione.

Il concerto inizia con quattro brani tratti dagli Játékok di Kurtág. Si tratta di miniature, talvolta della durata di pochi secondi, talvolta più complesse, che nascono dall’osservazione dei comportamenti infantili in relazione all’apprendimento musicale e tentano, anche attraverso una ri-codifica grafico-formale, di esorcizzare i possibili traumi di chi si trova ad apprendere le basi della pratica strumentale in giovane età, restituendo l’esperienza musicale alla sua componente più spensierata, giocosa e innocente. In questo senso, il rapporto con i Mikrokosmos di Bartók resta sullo sfondo e i quattro brani proposti dalla Bellocchio in questa prima parte – Antiphony in f-sharp, Doina, Thistle e Hommage á Stockhausen – risultano leggeri, volatili, raffinati e indolori.

Murail, in La Mandragore, utilizza stilemi e frammenti di scrittura pianistica di tipo classico e romantico, decontestualizzandoli e immergendoli in un pedale tenuto che rende liquide le articolazioni. Brano fatto di piccole volate, nubi di frequenze gravi che invadono gli agili e cristallini fraseggi precipitandoli in una realtà geometricamente inquieta, che gradualmente si congela in agglomerati frequenziali statici e risonanti. La Mandragore è un lavoro difficile da focalizzare, apparentemente contraddittorio: da una parte le suggestioni chopiniane (la nota e l’accordo ribattuti richiamano il Preludio op. 28 n. 15), dall’altra la lucida elaborazione geometrica, la cui austerità spegne immediatamente ogni richiamo al passato: un continuo movimento verso due opposti che forse è proprio la cifra compositiva di questo lavoro. Del resto, come precisa Murail stesso nelle note di programma, la mandragora è “una pianta mediterranea utilizzata in stregoneria per i suoi poteri magici”, in particolare usata dagli alchimisti nella loro ricerca della pietra filosofale, che rappresentava l’unione del Mondo Superiore con il Mondo Inferiore: l’incontro degli opposti.

Seguono altre miniature di Kurtág, quindi il concerto raggiunge il suo nucleo con i lavori di Gardella e Fedele.

Maria Grazia Bellocchio estrae il leggio e lo appoggia sulla cordiera, quindi impiega alcuni minuti per preparare il pianoforte, provando e verificando le corde sulle quali applicare i trattamenti richiesti dalla partitura: si tratta di inserire tra le corde piccoli oggetti atti a smorzare le risonanze e conferire loro un colore particolare, come insegnò John Cage a partire dagli anni quaranta del secolo scorso (Bacchanale, per pianoforte preparato, 1940), egli stesso ispirandosi agli esperimenti di Henry Cowell. Il leggio riprende la sua posizione e l’esecuzione di “di rami e radici” ha inizio.
Un accordo ripetuto e una nota ribattuta, esattamente come anticipato dal compositore. Quindi il fraseggio varia, si spegne per permettere alla figura iniziale di ricomparire. Segue una zona di ibridazione in cui il ribattuto viene elaborato e l’accordo generatore ricompare immutato, tra veloci fraseggi direzionali convergenti e divergenti. Lo stesso accordo permane a fronte di una granulazione localizzata nelle due zone estreme quindi, per la prima volta, compaiono distintamente i suoni smorzati in cordiera, accolti come un elemento estraneo – un virus – su cui il fraseggio regolarmente si interrompe. L’idea viene ripetuta più volte, arricchita da nuove variazioni della cellula iniziale, finchè assistiamo a un’ampia sezione di suoni smorzati, in cui il piano diviene una sorta di marimba grave, densa di risonanze. Le due anime lottano e infine quella sommersa, più oscura, prevale: ora i veloci fraseggi di trilli, tremoli, note singole e micro-figurazioni iterate sono affidati alle corde preparate. Il brano si conclude su questo colore sotterraneo, con una figurazione ripetuta, specchio deformato della cellula originale.
Nel programma di sala Gardella parla di “contrappunti tra due strumenti uguali ma diversi, un pianoforte e un pianoforte preparato”: evidentemente il primo rappresenta i rami che si protendono verso il cielo mentre il secondo rappresenta le radici, che si immergono nelle profondità della terra. “La contrapposizione tra questi due differenti modi di essere dello stesso materiale compositivo, organizzato attraverso due diversi percorsi di trasformazione, rappresenta una delle chiavi di lettura della composizione in cui lo scorrere del tempo modifica i rapporti di forza tra i due elementi arrivando alla costruzione di una sorta di ‘mondo alla rovescia’, di una diversa prospettiva di ascolto”.
La semplicità dell’assunto è perfettamente riflessa nella realizzazione pratica, volta al compimento dell’intenzione descrittiva: una naïveté che tuttavia, dal punto di vista percettivo, corteggia il ridicolo ogni volta che l’elemento concepito come estraneo si immette nel fraseggio, spezzandolo con un effetto teatrale e troppo scoperto. Infatti, l’assegnazione del ruolo di motore di straniamento (“Das Unheimliche”, in termini freudiani, il “sommerso”, “sotterraneo” e “perturbante”) a un elemento (il suono smorzato prodotto dalle corde parzialmente stoppate) che è ormai interamente assimilato nella scrittura pianistica dell’ultimo sessantennio, altamente riconoscibile e in sé poco fascinoso nel tempo, non può che situarsi al limite tra una effettiva, semplice efficacia descrittiva di superficie – Gardella, in ogni caso, sostiene di essersi ispirato alle descrizioni delle piante nei romanzi di Italo Calvino – e una involontaria auto-parodia.

Una decina di minuti di pausa e il concerto riprende. La seconda parte è dedicata a Due notturni con figura, di Ivan Fedele: lavoro imponente, della durata di una mezz’ora circa. Bisogna dare atto a Fedele di essere tra i pochi, oggigiorno, in Italia, a spingersi oltre i venticinque minuti: questo gli fa onore, al di là della effettiva riuscita del brano o del maggiore o minore coraggio con cui questo compositore-didatta, ormai affermato, affronta il cimento creativo.
Il brano inizia su una nuvola di frequenze estremamente gravi che si sviluppano, nei primi minuti, spostandosi verso l’ambito medio senza raggiungerlo, mentre l’elettronica rilascia le prime elaborazioni: trasposizioni a fascia dei suoni gravi eseguiti dalla Bellocchio. Le mani di Simone Conforti lavorano con perizia e moderazione sul mixer mentre, seduto accanto a lui, il compositore segue la partitura indicando, di volta in volta, il punto con una penna. Quindi il pianoforte tace e partono delle fasce sintetiche in zona medio-acuta, instabili e vellutate quanto basta: trasposizioni fisse a cui viene applicato un inviluppo, oltre a un processo di pitch transposing variabile in coda e talvolta sul corpo del suono.
Quindi il pianoforte riprende un fraseggio simile a quello iniziale ma localizzato in una zona medio-grave; il fraseggio si infittisce e improvvisamente balza verso l’acuto. Partono delle elaborazioni elettroniche in FFT simili a dei ribattuti, con inviluppo rapido e parziale overlap. Al termine dei microfraseggi del pianoforte, nella zona di maggior tensione, i ribattuti elettronici si sostituiscono alla tessitura pianistica. Quindi, una zona di decompressione su cui partono delle elaborazioni vagamente spettrali, molto riverberate, con code gravi che permangono a lungo nell’ambiente. Una nuova zona di decompressione, con una progressione di bicordi e tricordi dispersi in ambiti differenti: quasi un corale destrutturato. L’elettronica produce una fascia tenuta, sulla quale si aprono risonanze. Sebbene nel programma di sala Fedele citi, quali fonte di ispirazione per le due parti del brano, Gorge Crumb (Vox balenae) e Claude Debussy (La cathédrale engloutie), è impossibile non riconoscere in questa sezione immobile, subacquea e innegabilmente affascinante, echi di Vortex Temporum III di Gerard Grisey. Nella sezione successiva, il pianoforte alterna note ribattute gravi in ppp con volatine chopiniane e agglomerati frequenziali più statici. L’elettronica si spegne lentamente, per poi ricomparire con una elaborazione degli agglomerati pianistici, trasfigurati in uno strumento virtuale dalle connotazioni timbriche orientaleggianti. Nell’ultima parte il fraseggio procede concettualmente per moto retrogrado rispetto alla parte iniziale, discendendo nuovamente verso le frequenze estremamente gravi e lì, spegnendosi, in quella che è forse l’invenzione meno felice del brano, in quanto ne lascia scopertamente trasparire la forma a specchio A B A’, ribadendo – non che ce ne fosse bisogno – l’appartenenza di Fedele alla corrente neoclassica della scena contemporanea.

Due notturni con figura è un lavoro complesso, denso di ombre, in grado di catturare l’attenzione dell’ascoltatore per tutta la sua durata, senza risultare – fatta eccezione per l’ultima sezione – troppo prevedibile e regalando, nella parte centrale sospesa, alcuni momenti di intensa bellezza. Tuttavia, la concezione del rapporto tra strumento ed elaborazione elettronica, così come viene messo in campo da questo lavoro, non sembra essere realmente giustificata in quanto live electronics. In Due notturni con figura, infatti, lo strumento – il pianoforte – è relegato alla funzione di trigger e di generatore di materiale di partenza per i processi di trattamento del suono in tempo reale. Ovvero: i materiali musicali eseguiti dalla pianista sono immagazzinati in un buffer ed elaborati – con più o meno ritardo – al fine di ottenere nuovi materiali musicali, questa volta sintetici. Questo, senza che il processo si riverberi in alcun modo sulla produzione dei primi o sulla loro esecuzione/disposizione: anzi, in uno dei momenti più imbarazzanti, la pianista, che riceve su un monitor informazioni circa gli attacchi delle sezioni, rimane immobile per rendere percettibile l’entrata dell’elettronica. Più volte, durante il brano, i fraseggi pianistici si alternano alla loro diretta elaborazione secondo un rapporto immediato e ripetitivo di causa-effetto, privo di feedback e scevro da qualsiasi aura di mistero, da cui potrebbe scaturire una qualche ulteriore forma di bellezza. A parte l’effetto meccanico che un atteggiamento di questo tipo non manca di innescare nell’ascoltatore, non è di questo che si parla quando si usa il termine live electronics, il quale designa una interazione biunivoca tra uno o più strumenti acustici e un “insieme di tecniche e apparecchiature elettroniche che permettono l’elaborazione dei suoni in tempo reale, ovvero in un tempo inferiore alla nostra soglia percettiva” (Andrea Cremaschi e Francesco Giomi). Karlheinz Stockhausen, nel 1976, arrivò persino ad auspicare “una fusione e un feedback assoluti” tra musica strumentale ed elettronica. Non sembra essere propriamente questa concezione interattiva ad informare il pensiero musicale di Fedele, compositore che pure vanta un rapporto di lunga data con il mezzo elettronico e che attualmente sta collaborando con il Centro IRCAM di Parigi.

Maria Grazia Bellocchio si conferma un’interprete raffinatissima, versatile e dalle notevoli doti di chiarezza e precisione. La regia del suono è accurata e funzionale.

Rondò – Musica classica, contemporanea, elettronica, teatro musicale.
_ Incontri con i compositori
_ mercoledì 4 febbraio, Milano – Palazzina Liberty
_ ore 20,30 – incontro con Ivan Fedele e Federico Gardella
_ ore 21,15 – concerto
György Kurtág
_ dagli Játékok, per pianoforte
Antiphony in f-sharp
_ Doina
_ Thistle
_ Hommage à Stockhausen
Tristan Murail
_ La Mandragore (1993) , per pianoforte
György Kurtág
_ dagli Játékok, per pianoforte
Fancifully
_ Les Adieux (in Janácek Manier),
_ Pen Drawing, Valediction to Erzsébet Schaàr,
_ Grassblades in memory of Klára Martyn
_ Stubbunny
Federico Gardella
_ “di rami e radici” (commissione DE 2009), per pianoforte
Ivan Fedele
_ Due notturni con figura, per pianoforte ed elettronica (2007)
Maria Grazia Bellocchio, pianoforte
_ Marco Ligabue e Simone Conforti, realizzazione informatica

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