“Quando partono le rondini, lasciale andare”. Mi raccomando, non prendete paura quando premerete il tasto play e sentirete quei primi due minuti esatti di organo e chitarra che aprono il disco che avete appena, si spera, comprato. Quei due minuti di musica senza voce sono il rito di iniziazione necessario al culto di I mistici dell’Occidente (Warner), quinto album dei Baustelle.
Il nuovo album dei Baustelle viene dopo Amen e La malavita, La moda del lento e Sussidiario Illustrato per la giovinezza. Quelli che contenevano brani di successo commerciale e indipendente che partendo da Gomma fino a Charlie fa surf hanno fatto conoscere Bianconi e soci al mondo musicale italiano. Con quelle arie che strizzano l’occhio alla canzone d’autore ma anche ai suoni indie, piene di riferimenti letterari, al mondo del cinema e dell’arte. Loro, con quell’aria da poeti un po’ dandy, un po’ maledetti, novelli Baudelaire dei giorni nostri, nuovi creatori di un estetica musicale.
“L’ultima volta ti ho visto cambiato, bevevi un amaro al bancone del bar, perché il tempo ci sfugge ma il segno del tempo rimane“.
L’adolescenza liceale spedita tra le tenebre incestuose delle canzoni degli esordi sembra tramontata, i nostri ragazzi sono cresciuti. E se la maturità l’hanno presa da tempo con i dischi precedenti, le dodici nuovi canzoni dei I mistici rappresentano una tesi di laurea musicale. Già a partire dal titolo, ispirato da un’opera di Elémire Zolla, scrittore e filosofo italiano, nato a Torino e morto in quella Montepulciano dove i Basutelle sono nati e continuano a fare musica.
Un titolo poco pop, come i brani che contiene. Decisamente diversi dalla massa di musica che si sente in circolazione in una qualunque radio nazionale. Differenti per riferimenti, nei testi e nelle musiche, nei ritmi e nelle atmosfere. San Francesco, Huckelberry Finn, gli organi Farfisa, Yanez, Ossi di seppia. Un cornice di personaggi e ambientazioni letterarie, di nostalgie di epoche passate e di paesaggi lontani, che tiene insieme anche le colonne sonore di Morricone dei western polverosi, i violini classici sempre presenti, il banjo, gli organi religiosi. Forse sono canzoni con citazioni più semplici rispetto a quelle cui ci avevano abituato. Ma sono, comunque, piccole opere superiori alla media. Come a dire che una musica alta e altra si può ancora fare.
“A sapertelo spiegare, che filosofo sarei“.
Ma alla fine i dischi non vanno spiegati. Ma solo suonati. E un buon disco I mistici lo è davvero, e deve farsi ben ascoltare. Magari ha brani meno orecchiabili dei precedenti, ma tante piccole perle che si scoprono non al primo e non al secondo, ma al terzo e quarto e decimo passaggio. E se anche ogni singola parte non è eccellente, la loro somma fa un gran bel totale. Bianconi si dimostra abile tessitore di musiche e parole, e a questo si aggiunge la speciale produzione firmata da Pat “the Magician” Mc Carthy, uno che ha confezionato dischi per gente come U2 e Rem. Lui ha scelto provini fatti in casa e non in studio per dare un suono più autentico e originale, più naturale e meno artificiale. E l’intera opera ne guadagna. Peccato che, forse, l’unica canzone che arriverà al grande pubblico sia Gli spietati, il singolo che ha anticipato l’uscita dell’album. Ma bisogna ricordare anche Le rane, ode nostalgica e bucolica della giovinezza e della vita lenta dove le piscine degli agriturismo coprono i campi e non ci sono più le lucciole a guidare gli innamorati nella notte nera. Oppure l’autoritratto di Il sottoscritto, canzone d’amore-serenata bella come poche altre (“Vorrei darti tutto, amarti meglio, poter vivere altre vite insieme a te”). I sintetizzatori rendono preziosa L’estate enigmistica, mentre la voce melanconica di Rachele Bastrenghi (perchè mica i Baustelle sono bravi e belli solo per merito di Bianconi, sia chiaro) chiude in eleganza e bellezza la scaletta con L’ultima notte felice del mondo. Ma come si è detto poche righe sopra, ogni buon disco va ascoltato, e scoperto con le proprie orecchie, con la propria sensibilità. E adesso, la prova sarà portare tutte queste canzoni sul palco e non sarà semplice. Ma intanto, bisogna dar merito e riconoscere ai tre Baustelle, Bianconi-Bastrenghi-Brasini di aver creato, almeno per il momento, il miglior disco dell’anno.
“Si diradano le nuvole, si affollano le tavole. Si mangiano le fragole, tutto è limpido questa è l’ora dell’eternità”
Track List:
L’indaco
San Francesco
I mistici dell’Occidente
Le rane
Gli spietati
Follonica
La canzone della rivoluzione
Groupies
La bambolina
Il sottoscritto
L’estate enigmistica
L’ultima notte felice del mondo