Sarebbe un luogo che piacerebbe a Francesco Rosi, per girarci un seguito al “Cristo si è fermato ad Eboli”, sull’esperienza di Carlo Levi. Un paesino del sud, nel cuore verde di una regione e di una valle attraversata da un fiume. Siamo in Lucania, a Spinoso, dove un poeta ha voluto scolpire come si fa con la pietra il tempo e l’odore che si respira. Il suo paese dal quale ha tratto il “polline” che ha respirato fin dalla nascita. Biagio Russo ha così dato alle stampe un bel testo di poesie che definisce “antropologiche”, le ha titolate “Il pezzo della salute” (EditricErmes Potenza, 2005) e le ha racchiuse in uno scrigno molto elegante, dalla veste grafica evocativa e dalla copertina naif.
Sarebbe un luogo che piacerebbe a Francesco Rosi, per girarci un seguito al “Cristo si è fermato ad Eboli”, sull’esperienza di Carlo Levi. Un paesino del sud, nel cuore verde di una regione e di una valle attraversata da un fiume. Siamo in Lucania, a Spinoso, dove un poeta ha voluto scolpire come si fa con la pietra il tempo e l’odore che si respira. Il suo paese dal quale ha tratto il “polline” che ha respirato fin dalla nascita. Biagio Russo ha così dato alle stampe un bel testo di poesie che definisce “antropologiche”, le ha titolate “Il pezzo della salute” (EditricErmes Potenza, 2005) e le ha racchiuse in uno scrigno molto elegante, dalla veste grafica evocativa e dalla copertina naif.
Sussurra all’orecchio (cìt cìt come si dice al sud) quel suo amore viscerale per il paese, per la val d’Agri, con lo sguardo sinisgalliano su quei luoghi che ha preceduto il suo. E così Russo si affida alla tradizione, alla poetica meridionale, evoca il poeta di Montemurro (Sinisgalli appunto) ma anche Alfonso Gatto e Salvatore Quasimodo, quasi a volerne introitare una sorta di benedizione. La cerca e la ottiene ne “Le muse di Sinisgalli”, tra ginestre e sambuchi / cerco invano le Muse / sul greto dell’Agri…” E aggiunge in prosa che “non è facile scrivere poesie, guardando da Spinoso il fosso di Libritti. La poesia è nell’aria, tra le cose. Ma sfugge liquida e spaventata. Non mi conosce.”
E’ una bella esperienza di umiltà quella che compie Russo, al cospetto di un luogo tanto bello, e lo fa quando accompagna i versi (talvolta dialettali) con una prosa esplicativa, l’una che compendia gli altri, in un unicum originale per farci appropriare maggiormente della propria interiorità. Che può tuttavia sfuggire ad una dimensione più squisitamente poetica. Russo si espone. E’ onesto. Parla di pietre e di piazze, della nonna e del vino; e di questo pezzo della salute che vede il tempo passare. Un tempo “cairologico”, soggettivo, che è quello dell’introspezione silenziosa, della preghiera, della meditazione; delle storie, delle parole di chi condivide l’aiuola dove ci riconosciamo. Russo annette una idea di fuga, di esilio quasi, da un luogo immobile che pure (scrive) “non riesco ad odiare”. E nel quale tutti sanno di tutti, pieno di “libbaggìa” (curiosità); e dove “…sotto questo cielo misericordioso / l’infamia è una irremeabile gora…”
Luogo di nonni, e della nonna ottantenne che sa conservare tutto, come in una religiosa attesa, che evoca la nonna del poeta Vittorio Sereni «Uscita a tardo vespro / dalla sua cattolica penombra».
C’è infine un’ansia di presente nei versi di Russo, un qualcosa che ci lascia custodire nel profondo il senso di appartenenza al proprio paese natio, come fa Tonino Guerra nelle sue rime romagnole, a conferma che il paese è dentro di noi, comunque lo vediamo, ovunque poi andremo. Eppure siamo perplessi e sconcertati come sa esserlo Sereni quando scrive
“Cosa può essere un uomo in un paese, / sotto il pennino dello scriba una pagina strusciante / e dopo / dentro una polvere di archivi / nulla nessuno in nessun luogo mai.”.
Russo pare che ci accompagni col sorriso buono di chi sceglie di rimanere, quasi come un dovere, una missione, un compito non scritto. La valle dell’Agri, del resto, basta guardarla, è una luce mai estinta.
Biagio Russo, Il pezzo della salute,
EditricErmes Potenza, 2005