“IN FUGA” DI Alice Munro.

Come aver paura della vita, e rifugiarsi tra le braccia dei rimpianti.

Alice Munro, acclamata scrittrice canadese, da alle stampe un libro in cui ricama piccole storie fatte di fallimenti, rinunce, interruzioni, parole non dette.
Fino all’ultimo, raccolte e raccontate così bene le nostre fatiche quotidiane, si rimane sospesi sul da farsi: amarla, per come ha saputo cogliere nel segno, o detestarla, per come, altrettanto bene, ha tolto vecchi panni ai nostri specchi.

Alice Munro ha vinto numerosi premi, nella sua carriera, tanto da essere considerata la più importante autrice canadese contemporanea. E, a leggere il retro copertina, non c’è che da rimanerne affascinati: Pietro Citati e Eraldo Affinati dicono tutto il meglio possibile, di lei e di questa raccolta, uscita per la collana SuperET dell’Einaudi.
Eppure, nonostante premesse e buone partenze, al di là delle più giuste aspettative quando si è alle prese con un nuovo libro, “In fuga” non convince. E non perché la lingua usata sia sciatta, raffazzonata, molto al di sotto dei premi vinti. Non perché le storie raccontate procedano lente lungo i binari della noia, con fare scontato e prevedibile, senza saper mai dove andare a parare. E nemmeno perché il libro rimanga stretto nel proprio abito, fatto di ermetismo e alta prosa.

“In fuga” non è affatto così. Se si potessero attribuire ai libri aggettivi utilizzati nella vita quotidiana, verrebbe da dire che questo libro è pulito. Lindo e pinto, senza nemmeno una piega, scorrevole, quanto basta, dalla prima all’ultima pagina, con racconti che hanno il loro inizio, lo svolgimento e la giusta fine, proprio come ogni narrazione che si rispetti, ambientati in un Canada freddo e quasi inospitale, dove i sentimenti si gelano prima ancora delle strade. Eppure. Eppure, alla fine, quale sapore rimane in bocca? Nessuno, quasi nessuno. Perché “In fuga” non riesce a farsi ricordare. E le storie che esso porta fino a noi, di donne comuni, spesso intrecciate tra di loro perché vissute dalla stessa protagonista, lasciano il tempo che trovano, come direbbero, saggiamente, le nostre nonne. Vicende di donne spesso irrisolte, spesso indecise, spesso frustrate nell’animo e costrette nella vita reale dai lacci del dovere, che aspettano, rassegnate, che non si decidono mai a fare il primo passo, o, quando lo fanno, sanno benissimo di essere arrivate in ritardo; donne infelici, capitate nelle proprie vite come per caso, in seguito ad un fatale accidente; donne incapaci di amare, o amate nel modo sbagliato; donne dubbiose; donne sole.

Il campionario potrebbe andare avanti, ancora per molto, ma ciò che la Munro ci racconta potrebbe trovare una conclusione molto, molto prima. Va bene, è vero, siamo così, non solo noi donne, ma anche l’altra metà del cielo (dal nostro punto di vista), e allora?Cosa possiamo farci? Dopo aver messo in piazza il lato peggiore e nascosto, dopo aver spiattellato in pubblico tutta la nostra infelicità, la nostra inconcludenza, ci si sente sempre fermi, immobili, come se il viaggio non fosse mai iniziato, e con un’impetuosa voglia di scuotere le donne della Munro per farle provare a vivere, almeno una volta, una sola, come ci illudiamo, o speriamo di fare noi, dall’altra parte della pagina.
Leggere vuol dire anche farsi prendere, dimenticarsi. Ma se si risolve solo in una dolorosa, pietosa visita al primo specchio di casa, tanto vale continuare a (soprav)vivere, con le nostre pie illusioni. Tanto, noi, non siamo come le donne della Munro.

Alice Munro,
“In fuga”, Torino,
Ed. Einaudi,2006, pp. 312
euro 11