Nasce fra le polemiche l’esposizione settembrina di Palazzo Grassi. Nell’alternanza di mostre sull’antico e sul contemporaneo, era quest’anno di turno un’indagine storica, metodologica, sociale su quest’ultimo. Ecco quindi “Italics. Arte italiana fra tradizione e rivoluzione. 1968- 2008”, visitabile fino al 22 marzo.
Impresa impegnativa quella del curatore Francesco Bonami, ben consapevole dei rischi che si corrono quando si tratta di indagare su movimenti, percorsi creativi, di artisti ancora viventi e in piena attività. Tornano in mente le polemiche, i dissidi le incomprensioni, i madornali errori di sopravalutazione di artisti che non hanno lasciato traccia mentre si sono rifiutati altri che hanno segnato svolte fondamentali nel percorso artistico.
Prima ancora che allestimento, scenografia, opere venissero esposte a critici e pubblico, Italics è stata discussa, ragionata, criticata sia da parte degli esclusi, che facevano scintille considerandosi vittime di un’ingiustizia, sia dei prescelti, che non si riconoscevano negli accostamenti (pochi giorni prima dell’inaugurazione è stata ritirata un’opera annunciata “Scarpette d’oro” avendo voluto il curatore non entrare in causa con l’autore Kounellis, che era ricorso addirittura agli avvocati, considerandosi danneggiato dall’inserimento ).
Si è contestato persino il logo, la stilizzata figurina di Francesco Clemente con l’eskimo e il pugno alzato. Manifesto ideologico per alcuni, araldo dell’anti-ideologia, per altri, metafora critica in bilico tra tradizione e rivoluzione per altri. Non è sfuggito alle critiche il titolo considerato dispregiativo da alcuni, mentre altri vi hanno visto un’esaltazione del genio italico. In realtà, vista finalmente la mostra, si può definire altamente meritorio il lavoro degli organizzatori impegnati a dare visibilità all’arte italiana con l’intento di un rilancio internazionale proseguendo il discorso aperto all’inizio dell’era Pinualt con la rassegna “Where are we going ?”.
“Dove stiamo andando?” si chiedeva l’imponente complesso di opere sparse sui tre piani del Palazzo. Erano però per lo più opere di autori stranieri e pochissimi gli italiani rappresentati. Italics si pone la stessa domande allinenado 105 artisti con 160 opere lungo un percorso tematico anziché cronologico: Annigoni, Guttuso Vezzoli, Penone, Clemente, convivono con l’arte povera e la Transavanguardia cercando in questo percorso di indicare le svolte significative e emblematiche a partire dal fatidico ’68 e lungo i successivi 40 anni.
Fu il ’68, un po’ in tutto il mondo civilizzato, a risvegliare la società civile, soprattutto i giovani, alla ricerca di trasformazioni radicali e di nuove certezze. Anche l’arte italiana in quel periodo vive un percorso fatto di complessità, contraddizioni, sollecitazioni. Da sempre in Italia tradizione e rinnovamento si sono scontrati e sempre questo dissidio è stato fecondo, risolvendosi in un avanzamento del percorso artistico. Opere difficili al primo sguardo, ma che dietro le loro metafore plastiche parlano, come commenta Bonami, di un’antica civiltà contemporanea dissepolta dalle ceneri del ‘68. I nove corpi ricoperti da un lenzuolo, scolpiti in marmo bianco, di Maurizio Cattelan, legano l’arte alla storia, dal misticismo di Bernini ai cadaveri dell’Iraq. La piccola fontana di Marisa Merz con cui si avvia al primo piano il percorso espositivo, non è solo zampillo, suono, ma il simbolo di una rinascita, la voglia di pace dopo la violenza, mentre l’Italia d’oro rovesciata di Fabro vuole proporre una nuova idea di Italia e della sua arte.
In fondo questa mostra era un atto dovuto alla multiforme creatività italiana ed essa potrà considerarsi riuscita se accogliendo il suggerimento del compianto Norberto Bobbio riuscirà non a raccogliere certezze ma a seminare dubbi.
“Italics. Arte italiana fra tradizione e rivoluzione 1968-2008”
dal 26 settembre 2008 al 22 marzo 2009
Venezia, Palazzo Grassi
Salizzada San Samuele 3231 (30124)
+39 0415231680 (info), +39 0415286218 (fax)
www.palazzograssi.it