“Ki (My Name is Ki)” di Dawid Leszek

Povera ma bella

Giornate degli Autori 2011
Si può essere una ragazza madre, non avere una lira in tasca, lavorare solo quando capita e nonostante tutto affrontare la vita con gioia? La giovane Kinga sembra dimostrare che si può.

Basta essere anche un po’ pazzi (e allegramente irresponsabili), sembra dire l’esordiente polacco Dawid Leszek con questo suo Ki. Che poi sarebbe il diminutivo della protagonista, giovane modella e felice casinista, che molla il padre del proprio bambino per la manifesta immaturità dell’uomo in questione e preferisce fiondarsi da sola nel vortice della vita con l’unica cosa che ha: il proprio corpo e il proprio ingenuo, sfacciato entusiasmo.

No, non aspettatevi però una triste vicenda di prostituzione nel famelico e corrotto est Europa, ché Kinga in fondo è piuttosto morigerata, né un’analisi sociologica documentaria su come sbarcano il lunario le giovani madri di Varsavia. Questo Ki è piuttosto il riuscito ritratto individuale di una simpatica donna in continua lotta con l’ordine e la disciplina. Ne esce sempre più o meno sconfitta, ma come dice il proverbio giapponese: “se cadi sette volte, rialzati otto volte”. È priva di sicurezze affettive (ha solo il suo adorato bimbo di due anni), di lavoro fisso (occasionalmente posa come modella o danza nei nightclub) e di certezze economiche (sempre in bolletta, è una maga del “prestito sulla fiducia”…), ma nonostante tutto continua a sprizzare energia, con la quale affronta hic et nunc i problemi quotidiani.

È come se cercasse sempre delle scorciatoie, anche nel modo stesso di rivolgersi al mondo circostante e di nominarlo: lei è semplicemente “Ki”, il figlio Piotrus è “Pio”, le amiche sono “Dor”, “Go” e così via. Come se il tempo fosse troppo prezioso per spenderlo a pronunciare nomi inutilmente lunghi. O piuttosto a dimostrare una certa pigrizia e un approccio eccessivamente semplificato alla vita: io ho bisogno di una cosa, la chiedo dunque a chi mi sta intorno, come se mi spettasse. Si può trattare di fregare una stanza più spaziosa al coinquilino appena conosciuto, o un documento che le permetta di rubacchiare due spiccioli a quel fallito del compagno. O ancora basta riprendere la prima stranezza che capita davanti agli occhi con la propria piccola videocamera (anch’essa presa in prestito con i soliti metodi spiccioli) per diventare “videoartista”…: un fornello che brucia, le impronte dei propri piedi immersi nella vernice, ogni espressioni di vita e colore che animi la metropoli polacca immersa nella neve. Qui il film diventa quasi una serie di gag comiche sull’inadeguatezza esistenziale di questa curiosa folle nella Varsavia del XXI secolo.

L’importante è appunto vivere a colori, non peggiorare le cose con stati d’animo malinconici. Che poi tanto il destino ti viene a prendere lo stesso, che sia la malattia da stress del figlio, o uno stronzo di assistente sociale che cerca di molestarla sessualmente. Senza giudicare, ma creando una commedia agrodolce sui disastri quotidiani di questa allegra fallita contemporanea, Leszek ci regala uno dei film più freschi della Mostra di quest’anno. Senza pretese, ma anche senza inganni.

Titolo originale: Ki
Nazione: Polonia
Anno: 2011
Genere: Drammatico
Durata: 94′
Regia: Leszek Dawid
Cast: Roma Gasiorowska, Adam Woronowicz, Krzysztof Ogloza, Sylwia Juszczak, Agnieszka Suchora, Krzysztof Globisz, Dorota Pomykala, Pawel Królikowski, Maja Hirsch, Agata Kulesza
Produzione: Skorpion Art Film

Data di uscita: Venezia 2011