“LA CITTA’ HA FONDAMENTA SOPRA UN MISFATTO. PRIMO STUDIO” DI GIULIANA MUSSO

La riscoperta di Medea

Lo spettacolo è una lettura della reinterpretazione del mito di Medea da parte di Christa Wolf, alla luce di nuove scoperte che dimostrano come la versione pre-euripidea del racconto scagioni Medea dall’accusa di avere ucciso i propri figli e la privino dell’aura di follia con cui Euripide l’aveva ammantata.

Inizio emozionante per la nuova stagione del Teatro di Ca’ Foscari “Giovanni Poli”: la Medea di Giuliana Musso affascina e conquista, toglie il respiro come un pugno nello stomaco.
Dopo un piccolo ritardo dovuto alla grande affluenza di spettatori, la Musso inizia a parlare al pubblico, come facevano nel prologo i cantastorie di una volta, parla e spiega cos’è la Medea di Christa Wolf, da cui ha tratto il suo spettacolo.

La Medea della Wolf è il mito prima di Euripide, prima che il grande tragediografo lo reinterpretasse in funzione del nuovo sistema di valori patriarcale che si andava affermando, sistema contrapposto alla società precedente definita ginoica dall’antropologa e saggista Riane Eisler, anch’essa tra i riferimenti della Musso.
Una società di uguaglianza senza il predominio di un sesso sull’altro, concetto ben differente da quello di società matriarcali. La Medea figlia di questo tipo di mentalità non avrebbe mai potuto uccidere i propri figli per vendetta: il mito precedente a Euripide, infatti, attribuisce chiaramente ai corinzi la colpa dell’omicidio dei bambini di Medea. Ed è questa versione dei fatti che viene raccontata dalla Musso.

Nessuna scenografia e nessun costume, abiti neri e percussioni sul palco per raccontare questa nuova tragedia; davanti a noi quattro attori e Hugo Salmek, alle percussioni, che fornisce la colonna sonora. Ognuno di loro interpreta più personaggi, le “voci” di cui si compone l’opera della Wolf. Seduti su dei bassi sgabelli di legno, i copioni in mano, iniziano il racconto. E il teatro scompare. Un concerto di voci ci racconta, per due ore, ininterrottamente, una vicenda che credevamo di conoscere e che invece non avevamo mai compreso appieno.
Ogni immagine è vivida davanti a noi; è davanti a noi l’albero di donne narrato da Lissa durante il parto di Medea: le percussioni crescono insieme alla voce di Nicoletta Oscuro fino a esplodere in un canto di gioia che ricorda le melodie tribali africane. È davanti a noi l’orrore di Medea mentre a tentoni, nel buio di una caverna, capisce finalmente su quale misfatto sia stata fondata la città: il sacrificio della piccola Ifinae, figlia di Creonte, morta per impedirle di diventare regina. Il battito bassissimo dei tamburi e il canto quasi impercettibile di Nicoletta Oscuro, come un lamento, rendono la scena quasi surreale nella sua disperazione e angoscia.

Il finale è narrato dalla voce disincantata di Acamante, consigliere di Creonte; l’esilio di Medea e la lapidazione dei suoi figli, sui quali è ricaduta la presunta colpa della madre di aver scatenato un’epidemia in città, lasciano senza fiato e si fa fatica, quando si riaccendono le luci, a capire dove ci si trova. Si battono due o tre volte le palpebre per uscire dall’incantesimo fatto di parole e musica tessuto intorno a noi. E si esce dal teatro ancora confusi, ma con la sensazione di avere finalmente risolto un rebus che ci tormentava da tempo, capito qualcosa di nuovo: «Cosa vanno dicendo. Che io, Medea, avrei ammazzato i miei figli. Che mi sarei voluta vendicare dell’infedele Giasone. Chi potrebbe mai crederci…?». Medea non è più un’assassina.

La città ha fondamenta sopra un misfatto
di Giuliana Musso
con Giuliana Musso, Nicoletta Oscuro, Fabiano Fantini, Massimo Somaglino, Hugo Samek (alle percussioni)
Durata 120 minuti circa
Venezia Teatro di Cà Foscari a Santa Marta
www.unive.it/teatrodicafoscari