“20 anni fa, qualche anno prima della mia nascita, mia madre ha amato un ragazzo.
20 anni fa, si sono separati e lui, quand’è partito, ha portato con sé il sorriso di mia madre. Devo ritrovarlo, deve ridarglielo. Altrimenti, io, muoio”.
Lulu, 15 anni.
Se dovessimo giudicare il film dalle sue prime inquadrature, lo riterremo un omaggio dichiarato ad un’estetica e un genere fatti propri da Jean Pierre Jeunet e dal suo Favoloso mondo di Amélie. Una voce fuori campo onnipresente tenta di immaginare quali pensieri
attraversino la mente degli altri.
L’altro é in questo caso una donna, una madre, che quotidianamente siede davanti a una panchina, ignorando il mondo che la circonda e fissando un muro bianco che altro
non puo’ evocare se non uno schermo cinematografico.
La giovane Lulu usa quel muro, quella bianca superficie, per proiettare i pensieri e i sogni di sua madre. Ne ipotizza i percorsi,immaginandola incastrata nei ricordi del passato familiare. Nella messa in scena degli avi, degli antichi legami e delle immagini d’archivio, la regista Tardieu sembra cercare in un’estetica dell’iper visibile la scorciatoia per non approfondire la reale problematica di due esseri vicini che non arrivano a comprendersi.
Sarà la reale proiezione di una vecchia bobina in super 8 a condurre la figlia Lulu alla scoperta di quali pensieri attanaglino la madre alle ancore del passato. Una pellicola ed una foto, che le mostreranno il volto sorridente di una donna dal presente depressivo. Tali ritrovamenti in celluloide le scateneranno una curiosità ed una volontà di riportare il sorriso sul volto della madre.
Il percorso della giovane Lulu in direzione della madre diventerà la materia ed il soggetto di un film che trova nel tracciato personale della regista la sua ispirazione. “Di solito sono pudica, ma quando scrivo questo pudore non ha più senso” afferma la Tardieu. “Si, ho perso mia madre quando avevo 26 anni. Ed è vero anche che era un po’ assente, spesso stanca e concentrata sulle proprie angosce. Come nel film ho sofferto della sua morte, ma me ne sono resa conto realmente solo dopo. Paradossalmente eravamo molto vicine, ma in un rapporto madrefiglia capovolto”.
Carine Tardieu firma, con La tête de maman, il suo primo
lungometraggio (attorno al quale il successo delle precedenti creazioni aveva generato una lunga attesa). Già Les baisers des autres e L’ainée de mes soucis, mettevano in scena, il primo, la crisi adolescenziale di una giovane protagonista alle prese con i quotidiani screzi familiari, il secondo, il rapporto di una famiglia con la malattia della madre. Il soggetto materno sembra non distaccarsi dalla sua mente e dalle sue ispirazioni, motivo per cui la sua giovane filmografia dimostra un’ineccepibile coerenza.
Principio ricorrente è, anche, la leggerezza con cui temi legati alla sofferenza umana affiorano in superficie. La morte, il distacco, la mancanza, la nostalgia non si allontanano mai dalla netta sensazione della gioia di vivere e da uno humour che controbilancia nettamente la situazione drammatica.
Regia: Carine Tardieu
Sceneggiatura: Carine Tardieu, Michel Leclerc
Cast: Chloé Coulloud, Karin Viard, Kad Merad, Pascal Elbé, Jane Birkin
Paese: Francia
Distribuzione: UGC
Durata: 1h35
Sito ufficiale: www.latetedemaman-lefilm.com