Scrittore, sceneggiatore, regista, docente di cinema e addirittura ministro della Cultura e del Turismo in Corea del Sud (2003): tutto questo è Lee Chang-dong, autore delle pluripremiate pellicole Oasis, Secret Sunshine e Poetry.
L’evento veneziano che lo ha visto protagonista, ovvero l’International Lectures organizzata da CFC (Auditorium Santa Margherita, martedì 29), rappresenta il suo primo intervento pubblico dopo l’assegnazione degli Asian Film Awards (gli oscar asiatici) a Poetry (in anteprima assoluta italiana al cinema Giorgione).
I presenti in sala hanno potuto ascoltare la lettura di un articolato saggio sulle origini del cinema coreano, nonché la personale concezione che Lee Chang-dong ha della celluloide.
Durante il difficile periodo dell’occupazione giapponese (1910-1945), in Corea abbiamo film come Arirang e La barca senza padrone, esempi significativi di una impostazione di tipo realista.
Tra le storie narrate ci sono consistenti affinità tematiche: condizioni di vita precarie, perdita degli unici mezzi di sussistenza, lo spadroneggiare di un nemico incontrastabile (allegoria dell’invasore nipponico) e le violenze sessuali sulle donne.
Al termine del film muto Arirang, il pubblico dell’epoca, spinto da un forte sentimento di commozione, ha intonato il canto popolare omonimo del titolo, rivendicando lo spirito offeso di una nazione.
Il cinema dunque, deve essere divertimento oppure rivelazione della realtà?
Per Lee Chang-dong non c’è dubbio alcuno: il cinema è una finestra sul mondo, uno strumento identificativo per una comunità, lo specchio attraverso cui una nazione si confronta con sé stessa.
L’autore, a questo punto, ha riconosciuto gli straordinari meriti e l’ascendente planetario del neorealismo italiano, ed ha tessuto le lodi di Roberto Rossellini. Molti i film coreani che hanno ripreso le trame neorealiste, come ad esempio A Coachman.
Si è passati poi agli anni ’70, dove la chiusura culturale ha infranto i rapporti fra cinema e realtà, con storie di pura evasione e di scarso impegno sociale e politico.
Dagli anni ’90, invece, fino al boom della recente new wave, l’introduzione degli “screen quotas” ha garantito uno slancio rivoluzionario che ha ottimizzato gli ingranaggi dell’industria cinematografica. Si tratta di particolari misure legislative che tutelano il prodotto nazionale rispetto ai film d’importazione, specialmente i blockbuster hollywoodiani. Tutto ciò ha favorito la nascita di brillanti registi come Kim Ki-duk, Park Chan-wook, Bong Joon-ho, vere e proprie icone del cinema degli anni zero.
A conclusione della lettura, Lee Chang-dong ha propugnato la convinzione che il cinema asiatico – in specie sudcoreano – sarà destinato a diventare primadonna della scena internazionale dei prossimi anni.
“Hollywood dimostrerà sempre più attenzione per l’oriente: è un processo storico inevitabile.
Agli inizi era un cinema di e per bianchi, poi si è aperto alle altre etnie, dai neri ai latinoamericani, e perciò finirà per interessarsi sempre più agli asiatici, anch’essi presenti in gran numero negli States”- afferma il regista.
A proposito del rapporto tra parola e immagine, ha ricordato la sua formazione di scrittore, specificando di appartenere alla generazione delle parole e non a quella delle immagini. “Ciò non significa che il mio cinema sia fondato sulla parola. Io m’interrogo quotidianamente sulla resa cinematica, sulle varie applicazioni del visivo, su quei rapporti fra azione e immagine che meglio permettono il procedere del racconto.” – ha chiosato, a conclusione dell’argomento.
C’è stato spazio anche per degli aneddoti sulla sua parabola politica, e cioè le personali battaglie contro i tagli di finanziamenti al settore della cultura, solitamente il primo a farne le spese in Corea del Sud – tema alquanto attuale anche in Italia. Per Lee Chang-dong, questa mentalità che sottovaluta gli ambiti culturali è molto pericolosa, in quanto si priva di risorse che possono apportare degli aiuti economici al paese, nei modi più inaspettati.
Chicca per cinefili: svelati alcuni punti misteriosi dell’affaire Oasis, ovvero il progetto di remake americano. Il regista ha dichiarato di aver rilasciato i diritti a Hollywood per ben due volte, ma dopo circa sei anni non sono ancora partite le riprese; con molta probabilità non è stata trovata un’attrice adatta all’complesso ruolo femminile, che fu della brava Moon So-ri.