Alan Ayckbourn ha dedicato vari suoi lavori all’esplorazione metalinguistica dei meccanismi teatrali. Le conquiste di Norman, scritta nel 1973, ne è uno degli esempi più interessanti.
Si tratta di una trilogia di commedie – In sala da pranzo, In salotto, In giardino – che raccontano, ognuna da un diverso punto di vista, il movimentato week-end di sei personaggi. Ogni commedia è ambientata in uno spazio diverso di una grande casa e mostra dunque parti di una storia complessiva che nelle altre commedie possono solo essere intuite. Ogni commedia è dotata di una sua autonomia: sta allo spettatore ricostruire il quadro totale, unendo i vari frammenti che emergono da ciascuna di esse. La trilogia forma dunque una sorta di ipertesto, che lo spettatore può scegliere di vedere integralmente (senza soluzione di continuità oppure in serate diverse, seguendo l’ordine che preferisce) o parzialmente.
Annie, che non sposata, è la più piccola di tre fratelli e solitamente accudisce la madre anziana e malata. Per questo week-end ha però chiesto al fratello Reg e a sua moglie Sarah di darle il cambio, perché lei possa prendersi due giorni di relax. Quello che nessuno sa è che ha in programma di passare questi due giorni con Norman, il marito di sua sorella Ruth. Quando Sarah viene a saperlo la convince a desistere dal proposito. Così, il week-end lo passeranno tutti sotto lo stesso tetto – Annie, Tom, il veterinario amico di Annie, troppo indeciso per dichiararle il suo amore, Reg, che è un bambinone a cui piace giocare e raccontare barzellette, la stizzosa Sarah, Norman, il bibliotecario che si definisce “uno gigolo nel corpo di uno spaventapasseri” e sua moglie Ruth che presto si aggiunge alla compagnia (l’anziana madre sta al piano di sopra: più volte evocata, non compare, né si sente mai).
La trilogia non offre solamente numerose occasioni di riflessione sullo spazio e sui meccanismi teatrali e sulla realtà che il drammaturgo esclude dalla scena. Le tre commedie sono anche una sottilissima riflessione sulla responsabilità verso gli altri e sulla capacità di tener conto delle conseguenze che le proprie azioni possono avere sugli altri. I personaggi sono dotati di una peculiare ambivalenza, che il meccanismo della divisione della storia in tre commedie, dosando e calibrando segreti e rivelazioni, riesce ad esaltare con grande sapienza. In questi personaggi la ricerca della libertà può diventare la giustificazione per l’egoismo e l’irresponsabilità, mentre la difesa dell’istituzione del matrimonio e il richiamo alle responsabilità familiari possono diventare il velo ipocrita del conformismo e del formalismo.
Molta della sottigliezza del testo finisce però per disperdersi nell’allestimento della trilogia proposto dalla Kitchen Company – a cui va peraltro riconosciuto il merito di un’impresa di proporzioni notevoli (complessivamente 6 ore di teatro). È un allestimento che tende ad esasperare i personaggi, a renderli caricature prive di qualsiasi spessore, unicamente funzionali ai meccanismi comici. Il risultato però contraddice le intenzioni, visto che questa esasperazione non solo svuota i personaggi della loro capacità di rappresentare in modo credibile situazioni psicologiche e conflitti caratteriali, ma fa perdere anche vigore alle situazioni umoristiche e alle battute. Si prenda il personaggio di Tom, ad esempio. Ayckbourn (http://thenormanconquests.alanayckbourn.net/TNC_Characters.htm) lo descrive come “non così tardo di comprendonio come sembra” e, pur sottolineandone l’incapacità di relazionarsi con gli altri, lo definisce anche “dolce e non privo di fascino”. In questo allestimento, diventa invece un completo idiota senza speranza: caricato in questo modo, può funzionare comicamente alla sua prima entrata (mi riferisco in particolare a In salotto, quando al suo ingresso conferma quello che Annie ci aveva anticipato di lui), dopodiché non potrà far altro che ripetere se stesso. Non c’è in lui alcuna possibilità di sviluppo e quindi nessuna capacità di riservare sorprese: il personaggio diventa presto ripetitivo e poco divertente.
Annie – contrariamente alle note di Ayckbourn che la dipingono come un personaggio con una bassa autostima, ma “ben consapevole di quello che sta facendo” e con “un lato di sé nascosto e più forte” – qui appare il più del tempo come una bambina dai modi leziosi.
Può darsi che nel giudicare questo allestimento mi stia facendo troppo condizionare dal confronto con la versione televisiva (Thames television, 1977, regia di Herbert Wise), che dei personaggi dava una caratterizzazione molto più sfumata e realistica. Ma certamente la versione della Kitchen company, con questa esasperazione caricaturale, sembra sfruttare solo gli aspetti più esteriori offerti della trilogia.
LE CONQUISTE DI NORMAN (IN SALA DA PRANZO; IN SALOTTO; IN GIARDINO) di Alan Ayckbourn
The Kitchen Company. Regia di Eleonora d’Urso. Disegno luci di Raffaele Perin. Aiuto regia: Giulia Santilli.
Con Elisabetta Becattini, Fabrizio Careddu, Daria D’Aloia, Eleonora d’Urso, Giovanni Prosperi, Marco Zanutto.
Dal 28 dicembre 2010 al 16 gennaio 2011 al Teatro Tieffe Menotti di Milano
www.tieffeteatro.it