“Le ore” di Michael Cunningham

Destini uniti come le tre ciocche di una treccia

“Non credo di farcela a venire alla festa. Mi dispiace.”
“Non devi. Non devi fare niente che tu non voglia.” […]
“Non so se posso affrontarlo, lo sai. La festa e la cerimonia, e poi l’ora dopo e l’ora dopo ancora.”
“Non devi andare alla festa. Non devi andare alla cerimonia. Non devi far niente.”.
“Ma ci sono ancora le ore, no? Una e poi l’altra, passi una e poi, mio Dio, dopo c’è l’altra. Sono così malato”.

Malato di AIDS, malato di vita, l’unica malattia veramente mortale.
Malato come Virginia, schiava di una forza che s’impossessa di lei e la svuota, lasciandola spossata ed indifesa; Virginia che ama tanto la vita e i suoi tumulti ma, in piedi accanto al corpo senza vita di un tordo, sente la pochezza della vita e vorrebbe prendere il suo posto.
Malato come Laura, sua madre, che ha dovuto scegliere fra due tipi di morte: soffocare rimanendo con la propria famiglia, o abbandonarla.
Malato come Clarissa, tormentata dall’ammirazione per gli abissi dell’animo del suo amico che si scontra con l’amore per le piccole cose, con una frivolezza che è anche la forza che la mantiene in vita, nonostante tutto.

I destini di queste persone sono uniti come le tre ciocche di una treccia: Virginia scrive la storia che Clarissa e Richard vivranno molti anni più avanti; Laura la legge, ne è come ipnotizzata e si lascia accompagnare dalle parole del romanzo nel momento più tormentato della sua crisi.
“Le ore”è un libro che parla dell’anima delle donne, della loro capacità di vegliare i morti e di custodire, di scegliere la vita; ed è anche un’opera che evoca il male di vivere che sentiamo tutti, chi più, chi meno.
La signora Dalloway, alla fine, sceglierà di continuare a custodire la scintilla di luce che risplende in lei, pur non ignorando affatto la realtà della notte:

“C’è solo questo come consolazione: un’ora qui o lì, quando le nostre vite sembrano, contro ogni probabilità e aspettativa, aprirsi completamente e darci tutto quello che abbiamo immaginato, anche se tutti tranne i bambini (e forse anche loro) sanno che queste ore saranno inevitabilmente seguite da altre molto più cupe e difficili. E comunque amiamo la città, il mattino; più di ogni altra cosa speriamo di averne ancora.”.

Questo libro ha vinto il premio Pulitzer nel 1999 e il premio Crinzane Cavour nel 2000; ha ispirato un film di un’intensità straordinaria.
E’difficile riportarne una descrizione che non lo svilisca: non vi rimane che leggerlo: non ve ne pentirete.

Bompiani