L’amore degli inizi
La sala gremita in ogni ordine di posto, Raitre che riprende per intero l’ultimo appuntamento con la retrospettiva “L’amore degli inizi” ideata dal nuovo direttore del TFF. Finalmente l’atteso incontro tra Nanni Moretti e Tinto Brass si è concluso e forse chi si aspettava sferzate pungenti, invettive o altro è rimasto deluso. Si è trattato della prima chiacchierata (non si erano mai visti) tra due appassionati di cinema, due ricercatori del linguaggio e di invenzioni espressive diverse.
Moretti ha più volte dichiarato durante questi incontri che come spettatore, e inconsapevolmente come regista, è legato al cinema anni ’60 perché “allora c’era una grande libertà e poi perché i registi di allora, attraverso i film, prefiguravano un cinema diverso e una società diversa”.
E forse Chi lavora è perduto, tra i 5 film visti, è il più libero stilisticamente parlando. C’è una libertà di scrittura, di regia, di montaggio.
Foto di rito e poi davanti a decine di fogli di appunti Moretti, visibilmente un po’ teso, inizia il viaggio nei ricordi alla ricerca del Tinto alle prese con la sua opera prima.
“Era il frutto di una lunga ricerca sul linguaggio cinematografico” sottolinea subito Brass. “A me interessava più il significante che il significato. Io venivo dalla Francia dove avevo lavorato alla Cinematheque francaise di Langlois e guardato 4 film al giorno. E c’era l’esperienza della nouvelle vague, di Roland Barthes che ancora non si leggeva in Italia”.
Nel lungometraggio il protagonista è un trentenne, Bonifacio, che in un giorno d’estate girovaga per le strade di Venezia. In un flusso mentale di ricordi, fantasie e pensieri rivive l’adolescenza, l’amicizia con due amici: uno finirà in ospedale e l’altro in Russia.
Ma già allora non mancarono i problemi con la censura: “Mi accusavano di aver inserito il discorso sull’aborto, e le carezze del prete al bambino erano molto ambigue. Era il 1963 e saliva al potere il primo governo di sinistra ma non cambiò nulla”. Allora nacque la sua forte delusione per la politica: “E’ stata un’illusione di cambiamenti che poi non portarono a nulla. Il mio era un film anarchico”.
Il trattamento (più dello sviluppo di un soggetto e meno di una sceneggiatura) al Fellini che stava ideando 8 e ½ piacque, ma poi la sua casa di produzione, la Federiz, non lo produsse.
Di questa pellicola vale la pena anche un’analisi tecnica: “C’è una soluzione stilistica innovativa. Gabriella va dal dottore e ci sono poi tante sue immagini in diversi riquadri che si susseguono” sottolinea Moretti e Brass ricorda: “Sdoppiamenti della personalità. L’idea mi venne in fase di montaggio”.
“E perché si girava poco in presa diretta?” incalza il direttore. “Non so io giravo tra la gente vera – risponde Brass. “Nelle scene in piazza la telecamera la posizionai su uno di quei carretti che a Venezia si usano per trasportare le scatole. Molte furono riprese rubate”. E ancora: “Il funerale a colori con tante bandiere rosse che sventolano”. E come se stesse tenendo una lezione Brass spiega: “Funzione emotiva del colore. E’ una scena che mi emoziona ancora”.
Protagonista della pellicola era un attore teatrale, Tino Buazzelli, e Moretti, serio, chiede il perché della scelta, del perché poi avesse deciso di doppiarlo con la sua voce. L’occasione per canzonare il timido Moretti è troppo ghiotta per Brass: “Era un gigione. A me piacciono i gigioni, mi piace anche il tuo Silvio Orlando ne Il caimano e non vedo l’ora di vederti nella scena di sodomizzazione in Caos Calmo di Grimaldi”.
Moretti cerca di glissare anche se arriva al capitolo sesso: “In questi ultimi 20 anni non hai mai scritto o pensato alla preparazione di un film dove il sesso non fosse centrale?”. Ma il regista veneziano, classe 1933 ammette: “Dopo la grande disillusione degli anni ’70 mi sono ricordato di una frase del filosofo Wilhelm Reich – Prima di cambiare la struttura della società bisogna cambiare le persone – e il sesso mi sembrava un ottimo modo per cambiare gli individui. Il mio è un sesso vitale visto come gioia e liberazione, e non funereo visto come peccato e dannazione”.
Nel ricordo degli artisti di allora è telegrafico: “Bertolucci parlava di sesso (Ultimo tango a Parigi, 1972) ma in modo cattolico, lo trattava come – non cogliere la mela perché è marcia -. Sordi era un posseduto dal cinema come te. Rossellini, un amico (nel film c’è una citazione da Paisà) con il quale vissi a Parigi, Pasolini un artista anche se i suoi film non li ho molto apprezzati”.
Ormai l’incontro sta per terminare, l’atmosfera è molto rilassata, Moretti ha posto alcune domande, tante ne ha fatte fare al pubblico. E osa entrare nella sfera intima di Brass: “Sfogliando un bignami di psicologia… si può dire che il tuo essere libertario deriva dal tuo rapporto con un padre autoritario?”. E un Brass ormai conciliato probabilmente da anni con il passato: “Sì, la conflittualità nacque proprio quando conobbi il sesso”.
E poi la battuta forse migliore di tutto l’incontro: “I miei film vanno benissimo soprattutto all’estero. Sai sono un’icona del mondo gay cinese” dice Brass. E Moretti: “La storia ha la mano pesante, caro Tinto!”.