Non è bastato un repentino cambio di programma, né l’incertezza di un attacco a scoraggiare il pubblico pronto ad assistere al concerto di Natalia Gutman alle sale Apollinee del Teatro La Fenice.
La grande violoncellista infatti, presente proprio in questi giorni a Venezia in qualità di docente per i corsi di alto perfezionamento strumentale promossi dal teatro veneziano, ha dovuto rinunciare alla seconda parte di un concerto che la annunciava protagonista sia in veste cameristica che solistica, abbandonando così l’esecuzione della Suite per violoncello di Bach.
Il compito di aprire il concerto è andato dunque ai compagni violinisti Viktor Tretiakov e Natalia Likhopoi con la sonata per due violini op. 56 di Prokofiev. Benchè il gesto strumentale dei due musicisti non fosse calibrato in egual misura, la sonata è riuscita a catalizzare l’attenzione della sala rivelandosi in tutta la sua freschezza e carica espressiva benché sia un lavoro di raro ascolto nei programmi musicali. Ai due musicisti si sono poi aggiunti Alexander Zemtsov alla viola, Diana Ketler al pianoforte e Natalia Gutman al violoncello, riuniti per il monumentale Quintetto in fa minore op. 34 di Brahms. Nonostante la professionalità e la praticità con il repertorio dei singoli componenti del gruppo, sin dal suo inizio l’esecuzione ha lasciato trasparire una lieve carenza di coesione in termini di respiro musicale che, sebbene non abbia influito particolarmente sulla qualità della sua realizzazione, l’ha privata della possibilità di raggiungere l’eccellenza che l’opera di Brahms richiede prepotentemente.
Così le interconnessioni solistiche del primo Allegro e dello Scherzo sono apparse più come protagonistiche emersioni del tessuto musicale appuntato dal compositore ungherese piuttosto che naturale complicità strumentale, decretando una sensibile condensazione dell’espressività coloristica e delle sue sfumature.
Il tutto si è riversato energicamente nella serrata corsa finale che, oltre a rivelare la tenacia virtuosistica dei solisti, ha coinvolto pienamente un pubblico così abbagliato dall’unicità dell’evento da non aver fortunatamente avvertito uno sgarbo nell’assenza di generosità di qualche bis finale.