Alle attese, noi telefili siamo abituati: le reti non capiscono l’importanza o la bellezza di una serie o i palinsesti spesso sono intasati. E anche se oggi, con l’avvento di Internet e il peer to peer, le distanze tra l’Italia e il mondo si sono azzerate, seguire una serie non è molto facile.
E così, dopo averci fatto aspettare più di un anno, tornano sulla rete Mediaset i due chirurghi plastici più celebri della tv, alle prese con la quinta stagione, quella della svolta. Non proprio in positivo.
Sean e Christian si trasferiscono a Los Angeles, per rifarsi vita e carriera dopo le disavventure a Miami: i ruoli si ribaltano, Sean diventa un divo televisivo grazie ad una serie d’ambiente ospedaliero (dopo che i due sono stati contattati come consulenti) e Christian cerca di attrarre divette da rifare e circuire. Ma si troveranno a fare i conti con le proprie famiglie e con i loro amori sbagliati.
Divisa in due parti, a causa dello sciopero degli sceneggiatori, di cui la prima è composta da 14 episodi (i restanti 8 all’inizio del 2009), la quinta stagione della serie di Ryan Murphy si fa notare subito per un passaggio tra realtà diverse e uguali, speculari, quella di Miami e Los Angeles, luoghi al confine col centro America, dove il caldo ha dimora fissa – e con esso il culto asfittico della bellezza – ma dai presupposti molto diversi: se nella cittadina della Florida, il folklore cubanofilo spesso si sposa con risvolti criminali (tutta la saga di Gallardo), come già ci hanno insegnato molte altre serie, a Los Angeles gli autori hanno gioco facile a tramutare tutto in grottesco e perverso, in patinato orrore, sottolineando così una delle vene principali del racconto.
Non sappiamo se programmaticamente o per seguire tendenze commerciali, l’acuta e atroce riflessione sul senso della bellezza e sulle sue conseguenze ai nostri giorni delle prime tre stagioni (culminate con la scoperta del Macellaio, il criminale che – mascherato – sfigurava i pazienti degli interventi dei due chirurghi) si è spostata sulle perversioni e sulle insoddisfazioni professionali e personali (leggasi sessuali) dei protagonisti, coinvolti nel ciarpame della mecca del Cinema e dei suoi surrogati – tv, soap operas, scandaletti da tabloid – e travolti da un bisogno disperato di attenzioni, dove la sessualità, più che un ritorno al bisogno animalesco è divenuta la valvola di sfogo di pulsioni e abiezioni che la società spurga attraverso le sue manifestazioni spettacolari.
Su questo limine, tra esibizione della sessualità e cinica riflessione, tra spettacolarizzazione dell’abietto e abiezione dello spettacolo, Murphy & Co. si muovono compiaciuti e divertiti, guardando con gusto ad un certo surrealismo moderno, che fa dell’uso di stilemi tipici della narrazione bassa o d’appendice il modo primario di comunicazione: non a caso, qui si guarda alla serialità televisiva di basso rango, come per specchiarvisi e riflettere sui limiti e le possibilità del prodotto.
Ma nonostante il sostrato metalinguistico, l’inizio della stagione indica una serie che comincia a mostrare la corda, sia per la facilità dell’obiettivo da colpire, trattato a volte con la stessa superficialità psicologica che vorrebbe mettere alla berlina, sia soprattutto per la piattezza delle storie, per il rincorrersi di schemi consolidati, per la mancanza di sorprese vere, che vadano oltre la semplice sorpresa di bocca buona, per scavare un po’ più a fondo in personaggi e situazioni.
Le sceneggiature sembrano semplicemente costruire storie sui personaggi (come la svolta lesbo e un po’ gratuita di Julia), ricalcando il modello delle soap, ma aggiungendo poco e negando a volte anche il piacere colpevole del racconto popolare, mentre le regie sono passate dall’ironia patinata al glamour erotico senza che questo diventi chiave di lettura, ma quasi come una derivazione seria e “cult” dei cortometraggio di Penthouse.
Dylan Walsh e Julian MacMahon sono sempre una garanzia, seppur rovinati dal doppiaggio, specie il secondo alle prese con curiosi risvolti del suo personaggio, ben appoggiati da comprimari che sembrano maturati rispetto alle precedenti stagioni (segnaliamo su tutti, Paula Marshall nel ruolo di Kate Tinsley). Il profluvio di guest star più o meno famose, conferma così l’impressione di una serie, ormai concepita più come vetrina di corpi, desideri e sensazioni che urna per contenervi idee e riflessioni.
Contenti loro, scontenti noi.
Titolo originale: Nip/Tuck
Nazione: USA
Anno: 2003 – 2011
Formato: Serie TV
Genere: Drammatico
Stagioni: 6Ideatore: Ryan Murphy
Interpreti e personaggi: Julian McMahon (Christian Troy); Dylan Walsh (Sean McNamara); Joely Richardson (Julia McNamara); John Hensley (Matt McNamara)
Produttore: Warner Bros. Television
Prima TV USA
Dal: 22 luglio 2003
Rete televisiva: FX
Prima TV Italia (gratuita)
dal: 5 marzo 2004 – Italia 1
Prima TV Italia (pay TV)
dal: 22 marzo 2007 – Mediaset Premium
Premi
1 Golden Globe per la miglior serie drammatica 2005