Ci sono film che negli anni assumono valore documentario perché spaccato di
un’epoca, testimonianza di un territorio e rappresentazione di una società; ci sono anche film che assumono questo valore nello stesso momento in cui vengono proiettati in sala, perché al di là della finzione di cui si nutrono, sono lo sguardo su una realtà chiusa e costretta, violata e nascosta.
In Iran, lo stadio rappresenta uno dei pochissimi luoghi di libertà d’espressione. La tifoseria è permessa: durante le partite si può urlare e imprecare, sfogare rabbia e liberare l’energia, quotidianamente repressa. La legge iraniana però ne vieta l’ingresso alle donne. Offside racconta la storia di cinque ragazze che si travestono da uomo per assistere alla partita di qualifica per la Coppa del Mondo, nel 2005.
Jafar Panahi, arrestato nel marzo del 2010 per aver partecipato ai movimenti di protesta contro Ahmadinejad, è stato condannato a sei anni di reclusione. La condanna prevede anche l’interdizione per i prossimi vent’anni da qualsiasi produzione artistica e il divieto di viaggiare e comunicare con il resto del mondo. Così la sedia a lui riservata per la giuria alla passata Berlinale è rimasta vuota.
Il palloncino bianco, Lo specchio, Il cerchio e Oro rosso: Cannes, Locarno e Venezia, i suoi film hanno ottenuto i riconoscimenti del cinema mondiale e nel 2006 l’Orso d’Argento a Berlino, con Offside che ora trova finalmente luce nelle sale italiane.
Ancora la condizione della donna in Iran, ma questa volta lontano dalla disperazione de Il Cerchio; non perché le cose siano cambiate, no certo, ma perché per raccontare la violazione delle libertà di un regime non occorre ricorrere sempre al dramma. Anche una piccola storia, ambientata durante una partita di calcio; anche l’azzardo di cinque ragazzine, la sofferenza per non poter seguire il gioco della nazionale, possono raccontare la realtà dei diritti violati.
Dai bagarini ai controlli all’ingresso dello stadio; dai bastioni delle gradinate ai bagni, una commedia dal retrogusto amaro, in cui la macchina da presa segue il coraggio di giovani fanciulle che abbandonano la costrizione del velo per vestire i panni dei ragazzi e affrontare da sole il proibito: sono parole, sguardi e sorrisi ribelli; sono la timidezza, l’astuzia, l’ironia e la sfrontatezza di cinque giovani appassionate tifose, arrestate e costrette in un recinto di transenne, vigilate da un gruppo di poliziotti.
L’oggetto del desiderio, la partita, resta insistentemente fuoricampo, per tutta la durata del film, ma presente per le eco, immaginata per le grida dei tifosi e descritta da sprazzi di una complice pietà delle guardie che, paradossalmente, condividono la stessa sorte delle ragazze: quella di restare fuori.
Sono le sorelle più piccole di Marjane Satrapi (Persepolis); piccole donne nate e cresciute sotto il regime, che non hanno conosciuto “il prima”, ma che è speranza possano conoscere “il dopo”. Una speranza che Jafar Panahi elabora metaforicamente nel finale, con una grande festa di piazza in cui è forte l’orgoglio di appartenenza, oltre al buio delle proibizioni, e in cui anche le ragazze possono trovare una breccia per sottrarsi indisturbate alle costrizioni di un regime che umilia la libertà d’espressione di donne e uomini.
Titolo originale: Offside
Nazione: Iran
Anno: 2005
Genere: Drammatico
Durata: 88′
Regia: Jafar Panahi
Sito ufficiale:
Cast: Sima Mobarak Shahi, Safar Samandar, Shayesteh Irani, M. Kheyrabadi, Ida Sadeghi
Produzione: Jafar Panahi, Khiyabane Fereshteh
Distribuzione: Bolero Film
Data di uscita: Berlino 2006
08 Aprile 2011 (cinema)