“Tra i quartieri di Parigi, storie d’amore passeggere, velate, mimate, vampirizzate, violente o mimate.. Una Parigi moderna, emozionante e divertente. Un film pieno di vita sul tema dell’amore..”
Opera composta, multiforme, generata dalla firma di numerosi registi, Paris, je t’aime nasce da una sfida: raccontare in cinque minuti la storia di un incontro amoroso in un quartiere di Parigi. E il risultato non è una serie di piccole novelle romantiche di sentimenti idealizzati in un paesaggio da copertina, ma la descrizione di una città in tutte le sue eteroclite sfaccettature e nelle sue diverse presenze umane.
Il progetto, nato dall’idea di Tristan Carné e prodotto grazie all’aiuto di Claudie Ossard et Emmanuel Benbihy, non può che essere considerato erede del precedente Paris vu par.., in cui i “giovani turchi”, autori e critici della Nouvelle Vague, si cimentarono nella descrizione della loro città.
In entrambi i casi il film nasce sotto l’insegna di una sfida: se nel 1965 erano obbligatorie l’uso di una m.d.p. 16mm e di un luogo di ripresa che corrispondesse ad un preciso arrondissement parigino (furono trattati St Germain des Près, Rue Saint Denis, Place de l’étoile, Gare du Nord, Montparnasse-Levallois e la Muette), nel 2006 sono di rigore due giorni e due notti di riprese, la durata massima di cinque minuti e un budget ridotto al minimo. Ma è spesso a partire dalle restrizioni che l’artista sfoggia le sue migliori possibilità creative.
Anche nei piccoli film di Jean Luc Godard, Jean Douchet, Eric Rohmer, Claude Chabrol, Jean Rouch e Jean Daniel Pollet, Parigi appariva smembrata nei suoi principali e variegati quartieri, arricchiti dalle letture proprie di ogni autore.
L’intento della produzione Benbihy-Ossard è lo stesso: dopo quaranta anni, venti registi contemporanei descrivono nuovamente la Ville Lumière e i suoi numerosi quartieri.
Mentre il gruppo dei “giovani turchi” parlava, però, di una città di cui aveva assaporato l’essenza, di una città che li aveva visti crescere, formarsi, maturarsi come critici, cineasti e avidi frequentatori di sale cinematografiche, il gruppo formato in occasione di questo progetto vanta poche presenze autoctone (Olivier Assayas, Frédéric Auburtin, Sylvain Chomet, Gérard Depardieu e Bruno Podalydès)e molte straniere.
Ed è, quindi, la varietà a primeggiare: stili diversi nati da culture, formazioni, esperienze differenti. E questa molteplicità non può che mostrarsi come evidente, forse a simboleggiare la varietà di cui Parigi si fa portavoce.
Quest’ultima è esplicitata sin dallo split screen iniziale che divide lo schermo cinematografico in altrettanti piccoli schermi, rivolgendosi allo spettatore attraverso un semplice e banale gioco di mise en abyme.
Venti piccoli rettangoli si animano di immagini che seguono un proprio ritmo, una propria musica e un loro stile e che un minuzioso lavoro di montaggio ha tentato di mettere in realzione, in modo da creare risonanze e richiami tra le diverse storie.
La parte finale del film nasce proprio sotto quest’intento: film che sembravano affrontare temi su binari così lontani, cercano un punto di convergenza. 14esimo arrondissement di Alexander Payne si inserisce nel montaggio finale come ultimo episodio. Con una rara delicatezza, quest’ultimo racconta il viaggio oltreoceano di una donna americana, innamorata dell’Europa e della Francia. Come in un diario, la protagonista ci dona le sue sensazioni e le sue impressioni di una città animata da troppi turisti e da imponenti monumenti. Ma soprattutto ci parla della vita che riesce a veder scorrere sotto i suoi occhi nel momento in cui, semplicemente, resta seduta su una panchina in un parco e guarda il sole far brillare la natura e donare luce all’esistenza.
L’epidosio di Payne è sicuramente uno dei migliori in questo film in cui l’estrema varietà pecca a volte di mancanza di coerenza e di salti di stile diffcili da affrontare in un’ora e cinquanta di proiezione. Si fanno notare, tra gli altri: Tuileries, primo cortometraggio dei fratelli Coen, rigorosi feticisti del proprio stile, anche qui subito riconoscibile; Loin du 16eme di Walter Salles, dove il regista brasiliano non scorda che le banlieues parigine sono altrattanto presenti nella capitale che i quartieri intra-muros; Quai de Seine di Gurinder Chadha, film ispirato alle diversità culturali e alla loro possibile integrazione; Bastille di Isabel Coixet, con Sergio Castellitto, omaggio all’amore ritrovato; e Fbg Saint Denis di Tom Tykwer, ultimo citato ma primo tra i cortometraggi che lavorano e sperimentano con le possibilità offerte dal montaggio e dal lavoro sul tempo cinematografico.
Titolo: Paris, je t’aime
Regia: Olivier Assayas, Frédéric Auburtin, Sylvain Chomet,
Ethan Coen, Joel Coen, Wes Craven, Alfonso Cuaron, Gérard Depardieu, Christopher Doyle, Richard LaGravenese, Vincenzo Natali, Alexander Payne, Bruno Podalydès, Walter Salles, Oliver Schmitz, Nobuhiro Suwa, Tom Tykwer, Gus Van Sant, Gurinder Chadha, Isabel Coixet, Daniela Thomas
Cast: Fanny Ardant,Julie Bataille,Juliette Binoche,Steve Buscemi,Sergio Castellitto,Willem Dafoe,Gérard Depardieu,Marianne Faithfull, Nick Nolte,Alexander Payne,Bruno Podalydès,Natalie Portman,Elijah Wood
Produzione: Emmanuel Benbihy, Claudie Ossard
Distribuzione internazionale: Celsius Entertainment
Data d’uscita: (Francia) 21 Giugno